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Plotino, Enneade IV 8 [6: Sulla discesa dell’anima nei corpi], 7

Plotino, Enneade IV 8 [6: Sulla discesa dell’anima nei corpi], 7

Gen 18

 

 

Brano precedente: Plotino, Enneade IV 8 [6: Sulla discesa dell’anima nei corpi], 6

 
7. Essendo dunque duplice questa natura, intelligibile e sensibile, benché sia meglio per l’anima essere nell’intelligibile, avendo tale natura, ecco, deve necessariamente poter partecipare anche del sensibile e non arrabbiarsi con se stessa se |5| non è in ogni aspetto qual che v’è di meglio, avendo ottenuto un rango medio nell’ambito degli essenti, essendo, sì, nella parte divina, ma essendo nell’estremità dell’intelligibile, cosicché, essendo confinante colla natura intelligibile, da una parte dà qualcuna delle sue proprietà a questo [mondo], dall’altra riceve anche il contraccambio da esso, se non può disporlo ordinatamente accompagnata dalla sua imperturbabilità, ma per troppo ardore |10| s’immerge all’interno, non rimanendo per intero assieme a quella universale; d’altronde è anche possibile per essa riemergere daccapo, avendo acquisito la storia delle cose che qua ha visto e patito, ed avendo quindi appreso quale gran cosa sia essere là, ovvero avendo appreso in certo qual modo più chiaramente le realtà migliori facendo una comparazione con quelle che in certo qual modo son lor contrarie. |15| Infatti l’esperienza del male è una conoscenza del bene più illustrativa, per coloro la cui capacità è troppo debole per conoscere il male scientificamente prima che esperienzialmente.

Come, ordunque, la processione intellettuale è una venuta in basso verso il peggio estremo [la materia] ‒ non è infatti in suo potere rivenire in altro verso quel ch’è al di là, tutt’altro: è necessario che, esprimendosi in atto a partire da se stessa ed |20| impossibilitata a rimanere in se stessa per necessaria legge di natura, arrivi sino all’anima (questo infatti è il suo termine), che a questa, dunque, renda quel ch’è successivo mentre essa risale daccapo ‒ così è anche l’attività dell’anima: quel che v’è dopo di essa son le cose di questo mondo, mentre quel che v’è prima di essa è la contemplazione degli essenti [47]; mentre per quelle individuali tale evento si genera di tanto in tanto |25| e nel tempo, e la conversione verso gli enti migliori si genera nel peggio, quella ch’è definita anima del tutto non è interessata dal trovarsi all’opera nel peggio; essendo invece impassibile ai mali, perlustra con sguardo intellettuale le cose ad essa subordinate ed è anche sempre articolazione dipendente dagli enti che son prima di essa; eccome se son possibili simultaneamente entrambe le cose, |30| pigliare da là e simultaneamente prodigare qua, perché è irrealizzabile non adattarsi al contatto con questi oggetti per lei ch’è anima.

 

Note

[56] Cfr. Platone, Fedro, 247 D 5 – E 4.

 
La traduzione è condotta sul testo greco della seguente edizione:
D’Ancona C. et al., Plotino. La discesa dell’anima nei corpi (Enn. IV 8 [6]); Plotiniana arabica (Pseudo-Teologia di Aristotele, capitoli 4 e 7; Detti del sapiente greco), Padova 2003.

 
Brano seguente: Plotino, Enneade IV 8 [6: Sulla discesa dell’anima nei corpi], 8

 

 


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