Plotino, Enneade IV 8 [6: Sulla discesa dell’anima nei corpi], 5
Plotino, Enneade IV 8 [6: Sulla discesa dell’anima nei corpi], 5
Gen 11
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5. Allora non dissonano l’uno dall’altro la semina nel divenire e la discesa per la perfezione del tutto, la pena e la spelonca, la necessità e la volontarietà ‒ perché la necessità ha in sé la volontarietà ‒ e l’essere in un corpo, in quel ch’è cattivo; né la fuga dal dio ed il vagabondare d’Empedocle, né lo sbaglio ‒ da cui s’ottiene il castigo ‒ |5| né il riposo nella fuga d’Eraclito, né, in generale, la volontarietà della discesa e, d’altra parte, la non volontarietà. Tutto quanto, infatti, transita verso il peggio è involontario; giacché comunque transitandovi si trasferisce per moto proprio, il patire le sorti peggiori è giudicato il |10| castigo delle azioni che ha praticato. Qualora invece patire e fare queste azioni sia eternamente necessario per legge di natura e quel che viene vada incontro, nell’accostamento, al bisogno d’un altro proprio perché viene giù da quel ch’è al di sopra di lui, se qualcuno giudicasse che l’ha immesso un dio [42], allora non sarebbe non consonante né colla verità, né con se stesso. Ed infatti |15| a quel principio da cui deriva ciascuna singola cosa ‒ anche se le mediazioni son molte ‒ si riferiscono anche gli ultimi effetti [47].
Essendo, comunque, duplice lo sbaglio ‒ l’uno occorrente nella responsabilità della discesa, l’altro occorrente nel compiere cattive azioni una volta venuta qua ‒, [il castigo] da una parte è questa stessa sorte che patisce discendendo, dall’altra il grado minore del castigo è immergersi in altri corpi, |20| e ciò avviene tanto più rapidamente conforme al decreto sul merito [44] ‒ ordunque, che ciò avvenga per vincolante disposizione divina è chiarito mediante questa denominazione “decreto” ‒, mentre una specie smisurata di malvagità è meritevole anche d’un castigo maggiore apprestato da demoni vendicatori. In questo modo per l’appunto, pur essendo una realtà divina ed uscendo dai luoghi |25| in alto, si trova all’interno del corpo e, essendo il dio postremo, con inclinazione ch’è espressione autonoma ed a causa della sua potenza e per ordinare quel che vien dopo di essa arriva qui; e se fugge abbastanza presto [45] non è per nulla danneggiata acquisendo la conoscenza del male e conoscendo la natura della malvagità, recando le sue potenzialità alla |30| luce e mostrando funzioni e realizzazioni che se fossero state quiete nell’incorporeo sarebbero state vane, non iniziando mai ad agire; dunque per l’anima stessa sarebbe restato latente l’averle se non fossero apparse né avessero pigliato a procedere, perché dappertutto è l’atto a mostrare la potenza, tutta celata e come |35| inapparente e non essente giacché mai ontologicamente essente. Ognuno infatti ha ammirazione per le interiorità mediante le variopinte esteriorità, estrapolando come sono dal fatto che han prodotto queste raffinatezze.
Note
[42] Cfr. Platone, Fedone, 113 a 4-5; Timeo, 34 b 3 – c 9; 41 e 1 – 42 e 4.
[43] Cfr. Aristotele, Fisica, Θ 5, 256 a 8-12.
[44] Cfr. Platone, Fedone, 83 d 9 – e 1; 113 d 1 – 114 b 6.
[49] Cfr. Platone, Teeteto, 176 b 1-2.
La traduzione è condotta sul testo greco della seguente edizione:
D’Ancona C. et al., Plotino. La discesa dell’anima nei corpi (Enn. IV 8 [6]); Plotiniana arabica (Pseudo-Teologia di Aristotele, capitoli 4 e 7; Detti del sapiente greco), Padova 2003.
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