Plotino, Enneade I 6 [1: Sul bello], 5
Plotino, Enneade I 6 [1: Sul bello], 5
Feb 15
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5. Ordunque, si deve domandare agli amatori anche di quelle non pertinenti all’insieme della sensibilità: che affezione provate per le cosiddette belle occupazioni ed i bei modi d’esser e le consuetudini temperanti ed in generale le opere di virtù, le disposizioni e la bellezza delle anime [10]? |5| E vedendo voi stessi belli nelle interiorità, che affezione provate dunque [11]? E come baccheggiate e v’eccitate e bramate d’essere soli con voi stessi concentrandovi diligentemente fuori dal corpo? Patiscono infatti queste affezioni coloro che sono realmente amanti. Che è, dunque, ciò per cui patiscono queste affezioni? Non per uno schema, non per un colore, |10| non per una qualche magnitudine, tutt’altro: per l’anima ‒ incolore in sé, che d’incolore ha, ordunque, sia la temperanza sia lo splendore delle altre virtù [12] ‒ quando o vedete in voi stessi oppure contemplate in un altro la magnanimità ed un carattere giusto e temperanza pura ed il coraggio avente volto severo e |15| serietà e pudore diffusovi, in una disposizione intrepida ed inconcussa ed impassibile, e brillante su tutte queste occorrenze l’intelletto divino a vedersi. Ammirando ed amando, quindi, queste cose, come argomentiamo ch’esse son belle? Sono, ecco, ed appaiono e colui che le vede non professerà altro se non che queste sono le ontologicamente essenti. Che vuol dire |20| ontologicamente essenti? Che son belle. E la ragione brama altresì sapere essendo che cosa fanno sì che l’anima sia amabile; che cos’è quest’ottimo che si distacca come luce su tutte le virtù?
Si vuole dunque, pigliando anche i contrari, le brutture generantisi per l’anima, fare un confronto? Forse infatti converrebbe, relativamente a ciò che cerchiamo, sapere che cosa mai sia il brutto |25| e perché appare. Sia dunque un’anima brutta, intemperante ed ingiusta, colma d’una grandissima pluralità di desideri e pure del più grande scompiglio, impaurita per codardia, invidiosa per meschinità, pensante pensieri ‒ per quelli che pure pensa ‒ tutti quanti mortali e vili [13], storti dappertutto, amica di piaceri non puri, |30| vivente la vita di qualunque cosa possa patire mediante il corpo, bruttura assunta come piacevole. Questa stessa bruttura, orbene, non professeremo che sia sopraggiunta come un bello avventizio che la rovina, fa dunque sì che sia impura ed impastata con molto male [14] e non abbia più né vita né sensibilità |35| pure, tutt’altro: che, per la mescolanza del male, usi di una vita oscura e fusa con molta morte, non guardando più le cose che un’anima deve guardare, non più lasciata, dunque, rimanere in se stessa giacché sempre trascinata verso l’esterno ed il basso ed il buio? Essendo dunque, credo, impura e trasferita |40| dappertutto dalle attrattive delle cose di competenza della sensibilità, avendo fuso in sé molto di questo riempimento del corpo, essendo accompagnata a ed accogliendo in se stessa molta materia, altera la forma in un’altra per questa fusione col peggio: come se qualcuno, immerso nel pantano o nel fango, non mostrasse più la bellezza che prima aveva [15] e fosse invece guardabile questo |45| improntamento che è stato impresso dal pantano o dal fango; dunque questa bruttezza gli è arrivata per aggiunta dell’alterità, e gli è giocoforza, se per davvero vuol riessere bello, lavandosi e purificandosi, essere ciò che era.
Dunque, se giudichiamo brutta l’anima per la mescolanza e la fusione e l’annuire relativi al corpo ed alla materia, giudichiamo rettamente. |50| E questa bruttura per l’anima interessa il non essere pura né discreta come avviene per l’oro e nell’esser invece piagata dall’elemento terroso, togliendo il quale resta l’oro, ed è bello l’oro che rimane solo astratto dalle altre cose, dunque quando è rimasto solo con se stesso. Allo stesso modo, dunque, anche l’anima, rimasta sola per aver sconfitto i desideri |55| che ha per opera del corpo con cui s’è apparentata troppo, alienata dunque dalle altre affezioni e purificata dagli abiti che esibisce da incarnata, una volta rimasta sola, si disfà di tutto l’insieme del brutto derivatole dalla natura alternativa.
Note
[10] Cfr. Platone, Simposio, 210 b – c.
[11] Cfr. Platone, Fedro, 279 b 9.
[12] Cfr. Platone, Fedro, 250 b 3.
[13] Cfr. Platone, Gorgia, 525 a.
[14] Cfr. Platone, Fedone, 66 b 5.
[15] Cfr. Eraclito, frammento B 5 Diels-Kranz; Platone, Fedone, 110 a 5-6.
La traduzione dal greco è stata condotta sul testo dell’editio minor Henry-Schwyzer:
Plotini Opera, ediderunt P. Henry et H.-R. Schwyzer, 3 voll., Clarendon Press, Oxford 1964-82.
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