Plotino, Enneade I 4 [46: Sulla felicità], 4
Plotino, Enneade I 4 [46: Sulla felicità], 4
Mar 19
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4. Così, se l’uomo è qualificato per avere questa vita perfetta, l’uomo avente questa vita è anche felice. Se invece non lo è, allora si porrebbe confacentemente la felicità in mezzo ai soli dèi, se in loro soli fosse immanente la vita con tale proprietà. Giacché comunque professiamo che anche in mezzo agli uomini v’è |5| questa felicità, bisogna ispezionare come questo sia possibile. Argomento dunque in questo modo: che, ebbene, l’uomo ha una vita perfetta non avendola solo sensibile, ma avendo anche il raziocinio ed intelletto verace, è chiaro anche da altri esami. D’altronde forse, ecco, essendo altro ha questa come altro? Non è neppure solidamente uomo non |10| avendo questa o in potenza o in atto ‒ chi l’ha in atto, ordunque, professiamo che è felice.
Professeremo altresì che questa specie di vita perfetta è in lui come una sua parte? Professeremo eccome che un altro uomo che l’ha in potenza ha questa quale parte, mentre quello ormai felice, che dunque in atto è questa ed |15| è passato a divenire essa, professeremo che è questa; professeremo, dunque, che le altre pertinenze che lo attorniano ormai neppure si possono identificare come sue parti, giacché non brama che l’attornino; sarebbero invece state di lui se connesse come sue articolazioni conformemente alla volontà.
Per costui allora che cos’è mai il bene? Egli stesso lo è a se stesso, perché l’ha; comunque causa del bene in lui è quel ch’è al di là [13] ed è altrimenti |20| bene, essendogli presente altrimenti. Prova del fatto che questo è vero è questo: non cerca altro colui ch’esibisce questa condizione. Ed infatti che cosa mai dovrebbe cercare? Nessuna, ecco, delle cose peggiori, mentre è con l’optimum. Autarchica, quindi, è la vita di colui che ha la vita in questo modo; e, casomai sia virtuoso, è autarchico rispetto a felicità e possesso |25| del bene: non v’è infatti alcun bene che non abbia. Ciò che cerca lo cerca altresì come necessario, seppur non per sé [14], bensì per qualcuna delle sue parti. Cerca infatti per il corpo armonizzatogli; e se anche per un corpo vivente, cerca le cose proprie di questo suo [corpo] vivente, non quelle che sono dell’uomo con tale virtù. E conosce queste cose e dà le cose che dà non sottraendo alcunché dalla sua |30| vita. Neppure nei casi avversi, orbene, diminuirà di felicità: rimane, infatti, anche in questi casi così qualificati la vita con tale proprietà; anche se muoiono familiari ed amici, sa ciò che è la morte, lo sanno, ordunque, anche coloro che la patiscono se sono virtuosi. Dunque, anche se familiari ed amici stretti patiscono questo, |35| addolora non lui, bensì quello che in lui non ha intelletto, quello i cui dolori non accoglierà.
Note
[13] L’uno, prima ipostasi, è causa del bene nell’intelletto, seconda ipostasi con cui ci s’identifica nella vita perfettamente felice.
[14] Cfr. Platone, Alcibiade, 131 a 2.
La traduzione dal greco è condotta sul testo dell’editio minor Henry-Schwyzer:
Plotini Opera, ediderunt P. Henry et H.-R. Schwyzer, 3 voll., Clarendon Press, Oxford 1964-82.
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