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Plotino, Enneade I 4 [46: Sulla felicità], 1

Plotino, Enneade I 4 [46: Sulla felicità], 1

Mar 08

 

 

1. Nell’identificare il vivere bene e l’esser felici, ne renderemo forse partecipi anche gli altri viventi [1]? Se infatti è loro possibile condurre senza impedimenti l’esistenza che è loro connaturata, che cosa vieta d’argomentare che anche loro sono in una buona condizione di vita? Ed |5| infatti, sia che s’identifichi la vita buona colla soddisfazione [2], sia che la s’identifichi col terminare la funzione propria, in entrambi i casi sussisterà anche per gli altri viventi. Ed infatti si potrebbe ammettere che l’esser soddisfatti si presenta anche nella funzione conforme a natura, come nel caso degli uccelli canori: di quanti, tra i viventi, anche se son affetti da soddisfazione pure grazie ad altri beni, lo son, ordunque, anche nella misura in cui cantano come da loro natura, ed in questa maniera |10| hanno la vita per essi preferibile [3]. Ed ancora, anche se identifichiamo la felicità con un qualche fine, cioè l’estremo del desiderio diretto in modo naturale [4], anche in questa maniera li renderemmo partecipi dell’esser felici, quando fossero arrivati all’estremo, guadagnato il quale s’arresta la natura insita in essi, avendo espresso tutta la vita ch’è in essi |15| ed avendola completata dal principio al termine.

Se, ordunque, qualcuno disdegna questo conferire la felicità agli altri viventi ‒ in questo modo infatti ne renderemo partecipi anche i più disistimabili tra essi: ne renderemo partecipi, dunque, anche le piante, viventi anch’esse [5] ed aventi una vita svolgentesi verso un fine ‒, in primis perché non sembrerà bizzarro |20| argomentando che gli altri viventi non vivono bene giacché gli sembra che siano non molto di valore? Potrebbe, ordunque, non esser necessitato a dare alle piante ciò che dà a tutti i viventi nel loro insieme, giacché la sensazione non si presenta in loro. Potrebbe esservi comunque qualcuno che forse concede [la felicità] anche alle piante, se per davvero concede loro anche il vivere; una vita, ordunque, potrebbe essere buona |25| oppure il contrario, come è possibile anche per le piante esser soddisfatte oppure no, fruttifere oppure non fruttifere. Ebbene, se il fine fosse il piacere ed in questo fosse il vivere bene, sarebbe bizzarro colui che astraesse gli altri viventi dal vivere bene; come anche se invece fosse l’imperturbabilità, varrebbe lo stesso argomento, ed anche se invece s’argomentasse che il vivere bene è il vivere conformemente a natura. |30|

 

Note

[1] Cfr. Aristotele, Etica Nicomachea, Η 14, 1153 b 11.

[2] Cfr. Aristotele, Etica Nicomachea, Α 8, 1098 b 21; SVF, III, 17.

[3] Cfr. Aristotele, Etica Nicomachea, Κ 6, 1176 a 31.

[4] Cfr. SVF, III, 3.

[5] Cfr. Aristotele, Etica Nicomachea, Α 6, 1097 b 33 ‒ 1098 a 2.

 
La traduzione dal greco è condotta sul testo dell’editio minor di Henry-Schwyzer:
Plotini Opera, ediderunt P. Henry et H.-R. Schwyzer, 3 voll., Clarendon Press, Oxford 1964-82.

 
Brano seguente: Plotino, Enneade I 4 [46: Sulla felicità], 2

 

 


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