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Plotino, Enneade I 2 (19: Sulle virtù), 6

Plotino, Enneade I 2 (19: Sulle virtù), 6

Ago 10

 

 

Brano precedente: Plotino, Enneade I 2 (19: Sulle virtù), 5

 

6. Ebbene, nessuno di tali impulsi è una colpa, bensì un successo per l’uomo; peraltro lo sforzo non è essere esenti da colpa, bensì essere dio. Ebbene, se qualcuno di tali impulsi irriflessi si generasse, allora questo tale sarebbe dio e demone*, |5| essendo duplice o meglio avendo con sé un altro avente un’altra virtù; se invece [non se ne generasse] nessuno, rimarrebbe dio: un dio, ordunque, di quelli seguenti il primo. Egli infatti è colui che venne da là e, di per sé, se divenisse qual era quando venne, è là; quanto a colui con cui, dunque, è stato messo a coabitare arrivato qua, anche questi assimilerà a sé conformemente |10| alla capacità di lui, cosicché, se possibile, sia invulnerabile o inattivo, ecco, nelle azioni non decorose per il dominus.

Qual è quindi ciascuna virtù per questo tale? Ebbene, la sapienza <e la saggezza> consistono nella contemplazione degli oggetti che l’Intelletto ha; l’Intelletto comunque li ha per contatto. Ciascuna delle due, ordunque, è duplice, essendo da un lato nell’Intelletto, dall’altro nell’anima. E mentre là non è virtù, nell’anima |15| è virtù. Che è quindi là? L’atto di esso e ciò ch’esso è; qua invece la virtù è quel ch’è in altro provenendo da là. Neppure la giustizia in sé è infatti virtù, e neppure ciascun’altra, ma è qualificabile come paradigma; quel che invece nell’anima proviene da essa, è virtù. La virtù infatti è di qualcuno; ciascun ente in sé invece è di se stesso. Ordunque, se per davvero la giustizia |20| è svolgere la propria funzione, allora esiste sempre in una pluralità di parti? No, ma l’una [è giustizia] nella pluralità, qualora le parti siano più, l’altra è solamente lo svolgere la propria funzione, anche se è d’un agente unitario. La vera giustizia in sé, infatti, è d’un agente unitario in relazione a sé, in cui non v’è alterità tra parte e parte; sicché anche per l’anima la giustizia (quella maggiore) è agire in relazione all’Intelletto, l’esser temperante, dunque, |25| è la conversione all’interno verso l’Intelletto, il coraggio, dunque, è impassibilità a somiglianza di quello verso cui guarda, ch’è impassibile per natura, mentre essa [lo è] per effetto della virtù, così da non condividere le passioni dell’essere inferiore con cui coabita.

 
* Essere intermedio tra il divino e l’umano.

 

La traduzione dal greco è condotta sul testo della seguente edizione commentata: Plotino, Sulle virtù: I 2 [19]. Introduzione, testo greco, traduzione e commento di Giovanni Catapano. Prefazione di John M. Rist, Pisa 2006.

 

Brano seguente: Plotino, Enneade I 2 (19: Sulle virtù), 7

 

 


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