Plotino, Enneade I 2 (19: Sulle virtù), 1
Plotino, Enneade I 2 (19: Sulle virtù), 1
Lug 20
1. Giacché i mali son quaggiù e di necessità percorrono in giro questo luogo, e l’anima invece vuole fuggire i mali, bisogna fuggire da quaggiù. Ebbene, che è questa fuga? Assimilarsi a dio, professa (1). Faremo questo, dunque, se diveniamo giusti e pii attraverso |5| saggezza ed insomma colla virtù. Orbene, se colla virtù c’assimiliamo [a dio], forse che ha virtù?
Ed a quale dio, dunque? Ebbene, forse a quello che sembra averle al meglio, dunque all’anima del cosmo ed al suo egemonico, cui appartiene una saggezza mirabile? Ed è infatti ragionevole che, essendo qui, c’assimiliamo a questo. |10| Ebbene, per prima cosa, diviene controverso che anche a lui appartengano tutte, come l’essere temperante, coraggioso, giacché né v’è per lui alcunché di temibile (nulla, infatti, gli vien dall’esterno) né ha adito a lui alcun oggetto soave dalla cui non presenza si generi desiderio di averlo e pigliarlo. Inoltre, se anch’egli è in direzione degli intelligibili che anche le nostre [anime] appetiscono, è chiaro |15| anche che vengono a noi da là la strutturazione ordinata e le virtù.
Forse che quello (2) possiede queste? Eppure non è ragionevole che abbia, ecco, le virtù cosiddette civili: la saggezza per la capacità raziocinante; il coraggio, inoltre, per quella irascibile; la temperanza, inoltre, che mette in una certa qual relazione di accordo e sinfonia quella di desiderare con quella di ragionare; la giustizia, inoltre, la |20| quale fa sì che ciascuna di queste insieme [alle altre] eserciti la propria funzione per quel che concerne il comandare e l’essere comandato.
Forse quindi c’assimiliamo non conformemente a quelle civili, bensì conformemente a quelle maggiori, designate dallo stesso nome? Ma se c’assimiliamo conformemente ad altre, non lo faremo assolutamente conformemente alle civili? È illogico che non c’assimiliamo in alcun modo, qualunque esso sia, conformemente a queste ‒ questi (3) |25| infatti la fama li dice divini, cosicché bisogna dire che in qualche modo si son assimilati ‒, dunque che vi sia assimilazione sol conformemente alle maggiori. Ma in ciascuno dei due casi, ecco, viene da concludere che ha virtù, anche se non tali quali queste. Se quindi si concede che, anche se non ne ha tali quali queste, possiamo assimilarci, anche se così noi abbiamo un’altra relazione con virtù altre dalle nostre, nulla vieta che, anche non assimilandoci in relazione a delle virtù, |30| con le nostre proprie virtù ci assimiliamo a colui che non possiede virtù.
E come? Così: se qualcosa è scaldato dalla presenza del calore, è necessario che anche ciò donde il calore arriva sia scaldato? E se qualcosa è caldo per la presenza del fuoco, è necessario che anche il fuoco stesso sia scaldato dalla presenza del fuoco? |35| Alla prima domanda si potrebbe d’altronde rispondere che anche nel fuoco c’è calore, ma connaturale, cosicché l’argomento produce, per analogia, la conseguenza che la virtù per l’anima è un acquisto, mentre per quello da cui, avendolo imitato, l’ha avuta è connaturale; in relazione, dunque, all’argomento del fuoco, si può dire che egli è la virtù, |40| mentre stimiamo che sia maggiore della virtù. Orbene, se ciò di cui partecipa l’anima fosse identico a quello a causa di cui ne partecipa, si dovrebbe argomentare in questo modo; ora, invece, altro è quello, altro questo. Infatti neppure la casa sensibile è identica a quella intelligibile, eppure è stata assimilata ad essa; dunque, la casa sensibile partecipa di ordinamento e struttura, mentre là, |45| nella sua ragione, non v’è né ordinamento né struttura né simmetria. In questo modo, quindi, partecipiamo della struttura, dell’ordinamento e dell’accordo provenienti da là (4), e questi enti quaggiù sono propri della virtù, mentre quelli di là non hanno bisogno né di accordo né di struttura né di ordinamento, né ci sarebbe bisogno [per essi] della virtù, e ciò nondimeno c’assimiliamo |50| agli enti di là a causa della presenza della virtù.
Ebbene, non è necessario che la virtù sia anche là se noi c’assimiliamo grazie alla virtù. Questo basta; si deve, comunque, addurre persuasione all’argomento, non rimanendo al vigore logico.
Note
(1) Cfr. Platone, Repubblica, 613 b 1; Teeteto, 176 a 5-b 2.
(2) L’intelligibile, superiore all’anima del cosmo.
(3) Quelli che hanno le virtù politiche.
(4) Dal cosmo intelligibile.
La traduzione dal greco è condotta sul testo della seguente edizione commentata: Plotino, Sulle virtù: I 2 [19]. Introduzione, testo greco, traduzione e commento di Giovanni Catapano. Prefazione di John M. Rist, Pisa 2006.
Brano seguente: Pòotino, Enneade I 2 (19: Sulle virtù), 2