Temi e protagonisti della filosofia

Platone, Teeteto (16)

Platone, Teeteto (16)

Nov 25

 

 

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SOCRATE   Dirà dunque tutto quanto noi argomentiamo difendendolo [166a] ed insieme, credo, c’aggredirà disprezzandoci ed argomentando: «Eccolo dunque Socrate, il galantuomo, ha spaventato un ragazzino qualunque chiedendogli se è possibile che la medesima persona rammenti e simultaneamente non conosca la medesima cosa, e, spaventato, ha negato perché incapace di guardare in prospettiva, dunque mi ha giudicato ridicolo negli argomenti. La questione invece, facilone di un Socrate, ha quest’altra struttura: quando ispezioni qualcuno dei miei argomenti mediante interrogazione, se l’interrogato fallisce rispondendo come risponderei io, [166b] allora io sono confutato, se invece risponde altrimenti, lo è lo stesso interrogato. Ad esempio, ti sembra che qualcuno converrebbe con te che a qualcuno sia presente una memoria delle affezioni che ha patito tale che sia un’affezione tal quale a quando le ha patite, pur non patendole più? Ecco, è ben lungi dall’esser così. Ed ancora, ti sembra che esiterà a concordare che sia possibile che il medesimo uomo sappia e non sappia la medesima cosa? Oppure, se paventi questo, concederà che quello, divenuto dissimile, sia la stesso di quel ch’era prima d’essere dissimile? Meglio, invece, che egli sia qualcuno e non alcuni, e che costoro siano divenuti infiniti, se si genera dissomiglianza?; [166c] sempreché, ordunque, si debba disporsi con cautela l’uno verso l’altro insidiandoci, ecco, con nomi. Ma, o beato», dirà, «opponendoti più nobilmente a quello che argomento, se puoi, confuta esponendo come non si generino percezioni private in ciascuno di noi, o come, pur generandosene di private, in nessun modo sia migliorato l’argomento che l’apparenza si genera o, se si deve nominare “essere”, è solo per colui cui appare; ordunque, parlando invece di suini e cinocefali, non solo tu stesso fai il suino, ma persuadi anche gli ascoltatori a fare lo stesso verso i miei scritti, [166d] e non fai una bella azione. Io infatti professo che la verità sta come ho scritto: ciascuno di noi, infatti, è misura delle cose essenti e delle non essenti, professo comunque che differiamo grandemente l’uno dall’altro proprio per questo, perché per uno sono ed appaiono alcuni enti, mentre per un altro sono ed appaiono altri enti. E son ben lungi dal professare che non vi sono sapienza ed uomo sapiente, ed invece definisco sapiente proprio colui che, quando per qualcuno di noi gli enti appaiono e sono cattivi, cambiandoli li farà apparire ed essere buoni. Ordunque, non seguire il mio argomento parola per parola, [166e] ma così: intendi ancor più chiaramente che cosa argomento. Rammenta ciò che, ecco, nei precedenti discorsi si argomentava, cioè che per l’infermo i cibi che mangia appaiono e sono amari, per il sano, invece, sono ed appaiono il contrario. Ebbene, nessuno di loro due deve esser qualificato più sapiente dell’altro ‒ non è infatti possibile ‒ [167a] né bisogna affermare che l’ammalato è ignorante giacché opina tali dottrine, mentre il sano è sapiente giacché opina quelle alternative, bisogna invece cambiare le une nelle altre: è migliore infatti la condizione alternativa all’infermità. Così dunque anche nell’educazione bisogna cambiare una condizione nell’alternativa migliore; ma, mentre il medico cambia con farmaci, il sofista cambia con argomenti. In nessuna occasione, ecco, qualcuno ha fatto sì che qualcuno che opinava qualcosa di falso abbia poi opinato qualcosa di vero: non è infatti possibile opinare le cose non essenti né cose altre da quelle da cui si è affetti; queste dunque son sempre vere. [167b] Ma, credo, farà sì che chi, per una penosa condizione dell’anima, opina dottrine congeniali a questa, con una condizione fausta opini dottrine alternative tali quali la condizione, che, ordunque, alcuni, per imperizia, chiamano rappresentazioni vere, io invece le chiamo migliori di quelle alternative, per nulla invece più vere. Ed i sapienti, o caro Socrate, son ben lungi dal definirli rane, bensì medici se lo son circa i corpi, agricoltori se lo son circa le piante. Professo infatti che anche costoro nelle piante, anziché percezioni penose, [167c] quando qualcuna di esse s’ammala, immettono percezioni fauste e salutari, oltre che vere, mentre, ecco, i sapienti ed i buoni retori fanno sì che alle città sembri che siano giusti gli enti fausti anziché i penosi, giacché gli enti che a ciascuna città sembrino giusti e belli lo sono anche per lei, sinché li reputi tali; ma il sapiente fa sì che per esse anziché enti per esse di volta in volta penosi ce ne siano ed appaiano di fausti. Conforme, dunque, allo stesso argomento anche il sofista, potendo educare così gli educandi, è sapiente e degno [167d] di ricevere molte ricchezze dagli alunni. E così alcuni sono più sapienti di altri, eppure nessuno opina dottrine false, ed anche tu, voglia o no, bisogna che accetti d’essere misura: si salva infatti in queste inferenze quest’argomento. Al quale, se tu hai modo di contravvenire dall’inizio, contravvieni svolgendo un controargomento; se invece vuoi farlo mediante quesiti, fallo mediante quesiti: infatti neppure questo va fuggito, ma andrebbe perseguito più di tutto per colui che ha intelletto. Fai comunque così: [167e] non esser ingiusto nel chiedere. Ed infatti sarebbe molto illogico che uno che professa d’occuparsi della virtù finisse a non far altro che esser ingiusto nel corso delle argomentazioni. L’esser ingiusto, dunque, è in questo, quando qualcuno non separa da un canto il fare le diatribe combattendo e dall’altro il farle dialogando, e nel primo canto si scherza e s’induce in fallo per quanto possibile, mentre nell’altro ci si studia di dialogare e si corregge l’interlocutore, indicandogli quelle sole fallacie nelle quali [168a] è incappato sotto l’azione di se stesso o delle precedenti compagnie. Se, infatti, fai così, coloro che discutono con te accuseranno se stessi del loro turbamento ed aporia ma non te, e ti seguiranno ed ameranno, mentre odieranno se stessi e fuggiranno da se stessi verso la filosofia, così da alienarsi, divenuti altri, da quelli che erano prima; se invece farai azioni contrarie a queste come i più, te ne verranno le conseguenze contrarie ed i compagni, anziché filosofi, [168b] li farai apparire odiatori di questa pratica, appena diverranno più vecchi. Se, quindi, ti fidi di me ‒ ciò è stato detto anche prima ‒ non malevolmente né pugnacemente ma accondiscendo con tranquilla disposizione mentale, veramente ispezionerai che cosa mai argomentiamo dichiarando che tutti gli enti si muovono e che quel che sembra a ciascuno, questo anche è, sia a un privato sia a una città. E a partire da queste premesse ispezionerai se conoscenza e percezione son la stessa cosa oppure alternative, ma non come poco fa a partire dall’uso consueto delle parole e dei nomi, [168c] che i più trascinano casualmente dove capita procurandosi l’un l’altro aporie d’ogni sorta». Questi principi, o Teodoro, ho introdotto in soccorso al tuo compare, conforme alla mia possibilità: piccoli principi da piccola possibilità; se, invece, lui vivesse, allora avrebbe soccorso i suoi argomenti più magnanimamente.

 

 

La traduzione si basa sull’edizione critica di Hicken: Plato, Theaetetus, edit. W.F. Hicken, in Platonis Opera, Tomus I, tetralogias I-II continens, recognoverunt brevique adnotatione critica instruxerunt E.A. Duke, W.F. Hicken, W.S.M. Nicoll, D.B. Robinson et J.C.G. Strachan, Oxford University Press, Oxford 1995.

 

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