Platone, Teeteto (12)
Platone, Teeteto (12)
Nov 01
Brano precedente: Platone, Teeteto (11)
SOCRATE Ascolta allora da me quali ragionamenti forse argomenterebbero per quanto riguarda esse coloro che riguardano le cose che di volta in volta appaiono come se fossero vere per colui cui appaiono. Argomentano dunque, come io credo, chiedendo così: «O Teeteto, forse che ciò che è in tutto e per tutto altro non avrà mai in qualche maniera qualcosa come l’identica potenzialità dell’altro? E non abbiamo assunto che ciò di cui questioniamo sia in parte identico ed in parte altro, ma interamente altro».
TEETETO [159a] Orbene, è impossibile che abbia qualcosa d’identico o in ambito di potenzialità od in qualunque altro ambito qualora sia completamente altro.
SOCRATE Quindi non è necessario concordare che tale cosa è anche dissimile?
TEETETO Mi sembra di sì.
SOCRATE Se allora avviene che qualcosa divenga simile o dissimile a qualcosa, sia a se stesso sia ad altro, professeremo che assomigliandosi diviene identico, mentre dissomigliandosi diviene altro?
TEETETO Di necessità.
SOCRATE Non argomentavamo quindi in precedenza che molti sono gli agenti ed infiniti, così come, ecco, i pazienti?
TEETETO Sì.
SOCRATE E pure che, ecco, mescolandosi una cosa con altro e poi con altro non genererà cose identiche ma diverse?
TEETETO [159b] Ebbene sì, assolutamente.
SOCRATE Parliamo dunque di me e di te e delle altre cose secondo lo stesso argomento, di Socrate sano e di Socrate infermo: professeremo che questo è simile a quello oppure dissimile?
TEETETO Quando parli del Socrate infermo, parli di questo intero, simile o dissimile a quello intero?
SOCRATE Hai capito benissimo: parlo proprio di questo.
TEETETO Dunque è affatto dissimile.
SOCRATE Allora è anche diverso, siccome è dissimile.
TEETETO Di necessità.
SOCRATE [159c] Dunque anche di “dormiente” e di tutte le altre proprietà delle quali abbiamo or ora discorso affermerai allo stesso modo?
TEETETO Io, ecco, sì.
SOCRATE Ciascuna dunque delle cose che son per natura in qualche modo agenti, quando piglino Socrate sano, mi tratteranno come qualcos’altro di diverso dall’infermo, quando piglino invece Socrate infermo come diverso dal sano?
TEETETO Perché dunque non sarebbe questo che dovrebbe acccadere?
SOCRATE Dunque in ciascuna delle due occasioni genereremo alternative diverse io, il paziente, e quello, l’agente.
TEETETO Beh, che vuol dire?
SOCRATE Dunque, quando, sano, bevo vino, mi pare soave e dolce?
TEETETO Sì.
SOCRATE Ed infatti, a partire dalle premesse concordate prima, l’agente [159d] ed il paziente generano dolcezza e percezione trasferendosi simultaneamente entrambi, e la percezione, che è dovuta al paziente, rende la lingua percipiente, mentre la dolcezza, dovuta al vino, trasferendosi intorno ad esso, fa sì che il vino alla lingua sana e sia e paia dolce.
TEETETO Ebbene sì, assolutamente: le premesse erano state da noi concordate così.
SOCRATE Quando invece mi piglia infermo, in primis, per la verità, piglia qualcosa d’altro, non lo stesso? Ha infatti incontrato un dissimile.
TEETETO Sì.
SOCRATE [159e] Dunque questo Socrate con tal infermità e la bevuta del vino hanno generato cose diverse: per la lingua percezione d’amarezza, mentre per il vino amarezza che si genera e si trasferisce, e quello non sarà amarezza ma amaro, mentre io non sarò percezione ma percipiente?
TEETETO Ebbene sì, completamente.
SOCRATE Quindi io di null’altro diverrò mai percipiente così: altra è infatti la percezione dell’altro, e [160a] fa d’altra qualità ed altro il percipiente; neppure quell’agente che agisce su di me, convergendo con altro, genererà mai la stessa cosa divenendo tal quale: generando infatti altro a partire da altro, diverrà d’altra qualità.
TEETETO È così.
SOCRATE Né, ecco, io diverrò tale da me stesso né quello diverrà tale da se stesso.
TEETETO Beh no, infatti.
SOCRATE È necessario invece che io, quando divengo percipiente, lo divenga di qualcosa: è infatti impossibile divenire percipiente non percependo alcunché; [160b] ed è necessario che quello, quando diviene dolce od amaro o qualcosa di tal sorta, lo divenga per qualcuno: è infatti impossibile divenire dolce non divenendolo per nessuno.
TEETETO Ebbene sì, in tutto e per tutto.
SOCRATE È lasciata la conseguenza, credo, che, sia che siamo sia che diveniamo, noi siamo e diveniamo l’un coll’altro, perché la necessità collega il nostro essere, mentre non lo collega a nessuna delle altre cose e neppure a noi stessi. È lasciata la conseguenza che si è collegati l’uno all’altro. Sicché, sia che qualcuno denomini qualche cosa essente sia che la denomini diveniente, deve enunciare per che cosa o di che cosa od in relazione a che cosa; [160c] invece che qualche cosa o sia o divenga in se stessa o di per se stessa non deve argomentarlo né ammettere che un altro l’argomenti, come dimostra l’argomento che abbiamo discusso.
TEETETO Ebbene sì, in tutto e per tutto, o Socrate.
SOCRATE Dunque, giacché quel che agisce su di me è per me e non per un altro, io lo percepisco pure, un altro invece no?
TEETETO Ecco, come no?
SOCRATE Vera allora per me è la mia percezione ‒ è infatti sempre del mio essere ‒ e io son giudice, conforme alla concezione di Protagora, delle cose essenti per me come sono e delle non essenti come non sono.
TEETETO Sembra.
SOCRATE [160d] Come potrei quindi, se sono infallibile e non inciampo col pensiero, non conoscere per quanto concerne le cose essenti o divenenti delle quali son percipiente?
TEETETO Non c’è modo che non sia così.
SOCRATE Allora è stato da te affermato benissimo che conoscenza non è qualcosa di altro da percezione, e c’è coincidenza nella stessa concezione di quelle d’Omero e d’Eraclito e tale stirpe tutta, secondo cui tutte le cose si muovono qual flusso, e la concezione di Protagora, il sapientissimo, secondo cui di tutte le cose è misura l’uomo, e la concezione di Teeteto, secondo cui [160e], così stando le cose, percezione diviene conoscenza. Ecco, o Teeteto, possiamo professare che questo è qualificabile come tuo bambino neonato, mentre mia è l’assistenza ostetrica, o come dici?
TEETETO Così di necessità, o Socrate.
La traduzione si basa sull’edizione critica di Hicken: Plato, Theaetetus, edit. W.F. Hicken, in Platonis Opera, Tomus I, tetralogias I-II continens, recognoverunt brevique adnotatione critica instruxerunt E.A. Duke, W.F. Hicken, W.S.M. Nicoll, D.B. Robinson et J.C.G. Strachan, Oxford University Press, Oxford 1995.
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