Temi e protagonisti della filosofia

Platone, Teeteto (10)

Platone, Teeteto (10)

Ott 25

 

 

Brano precedente: Platone, Teeteto (9)

 

TEETETO   Eccome, per gli dèi, ecco, o Socrate, che mi meraviglio superlativamente di che cosa mai siamo queste apparenze, e talvolta veramente fissandole ho le vertigini.

SOCRATE   [155d] Ecco, amico mio, non mi pare che Teodoro, lui, abbia congetturato male per quanto concerne la tua natura. S’addice infatti molto al filosofo questo sentimento, il meravigliarsi: non v’è infatti altro principio della filosofia che questo, e sembra che colui che professò che Iride è progenie di Taumante non fece male la genealogia. Ma comprendi ormai per quale ragione questi ragionamenti sono tali a partire dalle assunzioni che professiamo argomentasse Protagora, o non ancora?

TEETETO   Non ancora, mi sembra.

SOCRATE   Mi sarai quindi grato se [155e] cercherò di coadiuvarti nello svelare la verità latente del pensiero di quest’uomo, o meglio di questi uomini rinomati?

TEETETO   Come potrei non esserlo, ed addirittura, ecco, moltissimo?

SOCRATE   Osserva dunque con circospezione a che non ascolti alcuno dei non iniziati. Costoro dunque sono coloro che non credono vi sia null’altro se non ciò che possono prendere serratamente con le mani, non ammettendo invece come parte dell’essere azioni e generazioni e tutto quel ch’è invisibile.

TEETETO   Dunque, o Socrate, parli, ecco, di [156a] uomini duri ed ostinati.

SOCRATE   Sono infatti, o ragazzo, beh, molto incolti; altri invece, dei cui misteri intendo parlarti, sono molto più sottili. Il loro principio dunque, a partire dal quale serpeggiano anche tutti gli argomenti dei quali or ora parlavamo, è questo, che il tutto è movimento e non v’è null’altro oltre a questo; del movimento, dunque, vi son due specie, ciascuna infinita di numero, l’una avente potenza d’agire, l’altra di patire. Dunque, dall’associazione di queste e dall’attrito dell’una coll’altra si generano progenie infinite di numero, [156b] tuttavia di due generi gemelli, il sensibile e la percezione sensibile, sempre concomitante e generata congiuntamente al sensibile. Da un lato, quindi, le percezioni sensibili, le quali hanno per noi tali nomi: visive ed uditive ed olfattive e di freddo e di caldo e, ecco dunque, quelle chiamate piaceri e dolori e desideri e paure ed altre, quelle senza nome, anch’esse infinite, e le numerosissime che invece han denominazione; dall’altro lato il genere del sensibile generato insieme a ciascuna di queste, [156c] colle percezioni visive d’ogni varietà si generano colori d’ogni varietà, allo stesso modo dunque in cui colle auditive si generano suoni e colle altre percezioni sensibili si generano gli altri sensibili congeneri. Che cosa, or dunque, vuole dirci questo mito, o Teeteto, in relazione agli argomenti precedenti? L’intendi allora?

TEETETO   Non del tutto, o Socrate.

SOCRATE   Ma osserva se in qualche modo lo si termina. Vuole, or dunque, dire che tutte queste cose, come diciamo, si muovono; nel loro movimento, dunque, son insite velocità e lentezza. Ebbene, quanto è lento [156d] mantiene il movimento nello stesso luogo ed in relazione alle cose accostate, e così dunque genera; i generati, invece, <mantengono l’altro movimento,> cosicché sono più veloci. Si trasferiscono, infatti, e nel trasferimento è per natura il loro movimento. Allorquando quindi l’occhio e qualcos’altro di commisurabile all’occhio s’accostano, generano la bianchezza e la percezione sensibile commisurabile ad essa ‒ le quali non si sarebbero giammai generate se ciascuno di quei due si fosse relazionato ad altro ‒, dunque, allorquando si trasferiscono nello spazio intermedio (la vista [156e] dagli occhi, la bianchezza, invece, dal co-creatore del colore), l’occhio diviene ripieno di vista e vede dunque, ed allora diviene non qualche vista, ma occhio vedente, mentre quel che ha co-generato il colore è riempito di bianchezza e diviene non bianchezza ma, a sua volta, bianco, o legno o pietra o qualunque cosa cui avvenga d’esser colorata con tale colore. Così dunque per le altre proprietà, duro e caldo e tutte le altre, bisogna assumere allo stesso modo che nessuna in sé e per sé è, [157a] ‒ presupposto che argomentavamo anche or ora ‒, mentre tutte si generano, ed in ogni qualità, dal movimento nell’associazione relativa dell’una coll’altra, poiché non è compaginabile, come professano, pensare che sia l’agente sia il paziente di esse siano un qualche oggetto unitario. Infatti qualcosa né è agente prima di convergere verso il paziente né paziente prima di converger verso l’agente, e quel che converge verso qualcosa ed è agente, imbattendosi invece in altro riapparirebbe paziente, sicché consegue dall’insieme di tutte queste assunzioni ciò che dal principio argomentavamo: nulla è unitario in sé e per sé, ma sempre diviene in rapporto a qualcosa, [157b] dunque l’”essere” va totalmente espunto, benché noi molte volte, anche poco fa, per consuetudine ed ascientificità siam stati necessitati ad usarlo. Dunque non si deve usare questo, come argomenta il ragionamento dei sapienti, né concedere “qualcosa” né “di qualcosa” né “mio” né “questo” né “quello” né alcun altro nome che sia stabile, ma secondo natura enunciare che le cose vengono generate e fatte e distrutte ed alterate, siccome, se qualcuno stabilisse qualcosa nel ragionamento, sarebbe facilmente confutabile colui che facesse questo. Si deve dunque ragionare così sia rispetto alle parti sia per quanto concerne gli aggregati di molti componenti, aggregazione che dunque [157c] pongono come “uomo” e “pietra” e ciascuna specie di viventi. Questi argomenti, or dunque, o Teeteto, ti sembrano essere soavi e li gusti forse come soddisfacenti?

TEETETO   Io, ecco, non so, o Socrate; ed ecco, per quanto ti riguarda non son capace di comprendere se li argomenti come dottrine tue o provandomi.

SOCRATE   Non rammenti, o amico, che io nulla so né faccio mai alcuno di tali argomenti, ma sono sterile di essi, mentre ti faccio da ostetrico e in vista di questo faccio su di te un incantesimo e propongo le prelibatezze [157d] da gustare di ciascuno dei sapienti sino a quando non sarò riuscito con te a condurre alla luce la tua dottrina; or dunque, una volta riuscito a condurla all’esterno, ispezionerò se apparirà vana o generativa. Ma gagliardo e robusto rispondi bene e da uomo coi tuoi pareri per quel che concerne gli argomenti che chiederò.

TEETETO   Chiedi dunque.

 

La traduzione si basa sull’edizione critica di Hicken: Plato, Theaetetus, edit. W.F. Hicken, in Platonis Opera, Tomus I, tetralogias I-II continens, recognoverunt brevique adnotatione critica instruxerunt E.A. Duke, W.F. Hicken, W.S.M. Nicoll, D.B. Robinson et J.C.G. Strachan, Oxford University Press, Oxford 1995.

 

Brano seguente: Platone, Teeteto (11)

 

 


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