Platone, Parmenide (6)
Platone, Parmenide (6)
Mag 08Brano precedente: Platone, Parmenide (5)
«Quindi che farai della filosofia? Ignorate queste impasse, dove ti volgerai?»
«Non mi pare assolutamente di scorgerlo, nel momento presente almeno».
«Ecco», disse, «Socrate, poni mano a riguardare separatamente come un quid bello, giusto, buono e ciascuna singola idea prematuramente, prima d’esserti allenato. [135d] L’ho intuito, ecco, anche ieri l’altro udendoti dialogare qua con costui, con Aristotele. Beh, bello e divino – sappi bene – è lo slancio con cui ti lanci negli argomenti; imponi però a te stesso di star piuttosto nel solco dell’allenamento mediante quel che sembra essere inutile e dai più è chiamato ciarla, finché sei giovane, sennò ti sfuggirà la verità».
«Ebbene in che modo», chiese, «Parmenide, ci si allena?»
«In quello», disse, «che hai udito da Zenone. A parte questo, [135e] mi son proprio compiaciuto di te che gli dicevi che non permettevi che osservasse con riguardo solo alle determinazioni visibili né che la perlustrazione osservasse queste invece di quelle che si possono cogliere al meglio logicamente e che si può ritenere siano idee».
«Mi sembra infatti», affermò, «che in questa maniera non sia proprio per nulla difficile dimostrare che gli essenti sono sia simili sia dissimili e che patiscono qualsiasi altra passione».
«Ebbene sì», dichiarò. «Bisogna però ancora, oltre a ciò, fare questo: esaminare le conseguenze [136a] dell’ipotesi non solo nel caso che ciascun ente ipotizzato sia, ma anche nel caso in cui s’ipotizza che questo stesso ente non sia, se vuoi allenarti al meglio».
«Come dici?», chiese.
«Per esempio», rispose, «se vuoi, c’è questa ipotesi che ha fatto Zenone: se i molti sono, bisogna esaminare che cosa consegue sia per i molti stessi in relazione a se stessi ed in relazione all’uno sia all’uno sia in relazione a sé sia in relazione ai molti; e pure, se i molti non sono, daccapo bisogna esaminare che cosa conseguirà sia per l’uno sia per i molti sia in relazione a se stessi [136b] sia nelle relazioni reciproche; ed ancora, qualora s’ipotizzi che la somiglianza sia o non sia, bisogna esaminare che cosa conseguirà a ciascuna delle due ipotesi sia per gl’ipotizzati stessi sia per gli altri sia in relazione a se stessi sia nelle relazioni reciproche. E lo stesso dicasi per il dissimile e per il movimento e per la staticità e per la generazione e la distruzione e per l’essere stesso ed il non essere; in una parola, per qualunque ente di cui ogni volta ipotizzi che sia o che non sia o che patisca qualunque altra passione, si deve esaminare le conseguenze [136c] in relazione ad esso stesso ed in relazioni a ciascheduno degli altri, qualunque tu abbia prescelto, ed allo stesso modo sia in relazione a più enti sia in relazione al loro complesso; e si deve esaminare anche gli altri sia in relazione a se stessi sia in relazione a qualsiasi altro prescelto ciascuna volta, sia qualora tu ipotizzi che ciò che hai ipotizzato sia, sia qualora ipotizzi che non sia, se intendi, allenatoti perfettamente, discernere magistralmente il vero».
Dichiarò: «Parmenide, parli di una trattazione proprio immensa, e la mia mente non comprende granché. Ma perché non me la sviluppi tu stesso ipotizzando qualcosa, acciocché io possa comprendere meglio?»
[136d] «Una grande opera», confessò, «Socrate, proponi ad uno della mia età».
«Ma tu», disse, «Zenone, perché non la sviluppi per noi?»
E raccontava che Zenone, ridendo, dichiarò: «Socrate, dobbiamo pregare proprio Parmenide: infatti parli di una cosa non da poco. O non vedi quanto grande sia l’opera che proponi? Beh, se fossimo di più, allora non sarebbe dignitoso pregarlo: è inopportuno infatti discutere tali argomenti davanti a molti, se no altro per la sua età: [136e] infatti i molti ignorano che senza questo percorso di attraversamento di tutte le ipotesi, cioè senza perlustrazione, è impossibile per colui che capita nel vero averne intelligenza. Io quindi, Parmenide, ti prego con Socrate, acciocché possa ascoltarti anch’io dopo lungo tempo».