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Platone, Parmenide (24)

Platone, Parmenide (24)

Ago 08

 

 

Brano precedente: Platone, Parmenide  (23)

 

«Ed esso deve, ecco, partecipare in qualche maniera anche dell’essere». «Come dunque?» «Esso deve avere il contegno che argomentiamo: se, infatti, non l’avesse, allora noi non argomenteremmo verità argomentando che l’uno non è; se invece argomentiamo verità, è chiaro che esse, che argomentiamo, sono essenti. O non è così?» «Così, eccome». «Poiché dunque affermiamo di argomentare verità, è necessario per noi affermare di argomentare su essenti». [162a] «Necessario». «Allora è – come sembra – l’uno non essente: se, infatti, non sarà non essente ma in qualche maniera andrà dall’essere al non essere, sarà subito essente». «Eccome, in tutto e per tutto». «Allora esso deve avere come legame col non essere l’esser-non-essente, se intende non essere, similmente a come l’essente deve aver il non-esser-il-non-essente per essere a sua volta perfettamente determinato: così infatti l’essente sarebbe al meglio ed il non essente a sua volta non sarebbe: l’essente partecipando dell’essenza dell’essere essente ma non dell’essenza dell’essere non essente, [162b] se intende essere in modo perfettamente determinato; il non essente partecipando invece della non essenza dell’essere essente e dell’essenza dell’essere non essente, se anche il non essente dal canto suo non sarà in modo perfettamente determinato». «Verissimo». «Quindi, dal momento che l’essente è partecipe del non essere ed il non essente dell’essere, anche l’uno, poiché non è, ha necessità di essere partecipe dell’essere per non essere». «Di necessità». «Anche l’essere dunque pare appartenere all’uno, dal momento che non è». «E come no?»

«Ebbene, quel che ha una qualche determinazione sarebbe capace di non averla più, pur non mutando quest’abito?» «Non ne sarebbe capace». «Allora tutto quello che sia tale [162c] da essere sia così sia non così segnala cambiamento di stato». «E come no?» «Cambiamento di stato, dunque movimento; oppure che affermeremo?» «Movimento». «E l’uno non parve sia essente sia non essente?» «Sì». «Allora pare essere così e non così». «Sembra». «Ora, l’uno non essente è parso anche mosso, dal momento ch’è parso avere mutamento dall’essere al non essere». «C’è il rischio». «Ma se non è, ecco, in nessun luogo tra gli essenti, come non è se per l’appunto non è, allora non muterebbe mai stazione da qui a lì». «Come potrebbe, infatti?» «Allora non [162d] si muoverebbe mai con lo spostarsi, ecco». «No, ecco». «Neppure si rivolterebbe mai nell’identico luogo: infatti in nessun luogo entra in contatto coll’identico. Infatti l’identico è; invece è impossibile che il non essente sia in qualcuno degli essenti». «Impossibile, infatti». «Allora l’uno non essente, ecco, non potrebbe rivoltarsi in quello in cui non è». «Beh ecco, no».  «Né l’uno s’altera punto rispetto a sé stesso, né quello essente né quello non essente, perché, ecco, se esso s’alterasse rispetto a sé stesso, allora l’argomento sarebbe pertinente non più per l’uno, ma per qualcos’altro». «Rettamente». «Se, dunque, né s’altera né si rivolta nell’identico luogo né si sposta, allora in che maniera si muoverebbe mai?» [162e] «Ecco, come?» «È necessario, ecco, che quel che è immobile si mantenga in quiete e che il quiescente sia stazionante». «Necessario».  «Allora, come si vede, l’uno non essente è stazionante e si muove anche».  «Si vede». «Ebbene, dal momento che, ecco, si muove, è assai necessario che s’alteri rispetto a sé: [163a] comunque, infatti, qualcosa si muova, in tal misura non ha più lo stesso stato, ma un altro». «Così». «Muovendosi, dunque, l’uno s’altera pure». «Sì». «Ebbene, se non si muovesse, ecco, in nessuna maniera, allora non s’altererebbe in nessuna maniera». «No, ecco». «In quanto, allora, si muove, l’uno non essente s’altera; in quanto, invece, non si muove, non s’altera». «No, ecco». «Allora l’uno non essente s’altera e non s’altera pure». «Pare». «Dunque, non è forse necessario che quel che s’altera si generi come diverso da prima e distrugga il precedente abito [163b] e quel che invece non s’altera non si generi né si distrugga?» «Necessario». «Ed allora l’uno non essente, mentre alterandosi si genera e si distrugge, non alterandosi né si genera né si distrugge, e così l’uno non essente si genera e si distrugge e non si genera e non si distrugge». «Beh, no, ecco».

«Ancora una volta dunque andiamo daccapo all’inizio per dare un’occhiata se ci appaiono le stesse conseguenze che appaiono adesso o se ne appaiono di diverse». «Ma sì, bisogna». «Quindi [163c] diciamo che cosa bisogna consegua per l’uno, se esso non è?» «Sì». «Dunque, il ‘non è’, allorquando lo diciamo, che altro significa se non assenza di essere in quel che diciamo non sia?» «Null’altro». «Quindi, quando dichiariamo che qualcosa non è, dichiariamo forse che in qualche modo non è e in qualche modo, invece, è? Oppure questa locuzione, il ‘non è’, significa semplicemente che il non essente, ecco, in nessun modo in nessuna maniera è né partecipa in qualche maniera dell’essere?» «Ebbene, ha il significato più semplice». «Allora il non essente non potrebbe né essere né partecipare in nessun altro modo dell’essere». [163d] «No, ecco». «Or dunque, il generarsi ed il distruggersi che altro sarebbero se non, rispettivamente, il prendere parte all’essere ed il disfarsi dell’essere?» «Null’altro». «Ciò che dunque non è partecipe di esso per niente, ecco, né lo prenderebbe né si disfarebbe di esso mai». «Come potrebbe, ecco?». «Per l’uno allora, poiché in nessuna maniera è, l’essere non è né possedibile né alienabile». «Verosimile». «Allora l’uno non essente né si distrugge né si genera, dal momento che in nessuna maniera partecipa dell’essere». «Pare di no». «Allora neppure s’altera in alcuna maniera: [163e] infatti, se patisse questo, allora già si genererebbe e si distruggerebbe». «Vero». «Se, dunque, non s’altera, non è necessario anche che non si muova?» «Necessario». «Né affermeremo che quel che non è in alcun luogo è stazionante: infatti quel che è stazionante deve essere sempre in qualche identico luogo». «Nell’identico luogo, ecco, come no?» «Così dunque ancora una volta argomentiamo che il non essente non è giammai stazionante né si muove». «Beh no, ecco». «Ma neppure è attribuibile ad esso alcuno degli essenti: infatti, se partecipasse di questo, allora già parteciperebbe dell’essere». [164a] «Chiaro». «Allora ad esso non sono attribuibili né grandezza né piccolezza né uguaglianza». «No, ecco». «Orbene, ad esso non sarebbero attribuibili né somiglianza, ecco, né diversità, né in relazione a sé né in relazione agli altri». «Pare di no». «Che dici dunque? Se niente è attribuibile ed esso, allora gli altri come potrebbero essergli attribuiti?» «Non lo sono». «Allora gli altri non sono né simili a né dissimili da né identici a né diversi da esso». «No, ecco». «Che dici dunque? Il ‘di quello’ o l’‘a quello’ o il ‘qualcosa’ o il ‘questo’ o il ‘di questo’ o ‘d’altro’ o ‘ad altro’ o ‘una volta’ o ‘dopo’ o ‘adesso’ [164b] o conoscenza stabile od opinione o sensazione o argomento o nome o qualunque altro tra gli essenti saranno per il non essente?»  «Non saranno». «Così dunque un uno non essente non ha alcuna determinazione in nessuna maniera». «Dunque si vede, ecco, che non ce l’ha in nessuna maniera».

 


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