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Platone, Parmenide (15)

Platone, Parmenide (15)

Giu 19

Brano precedente: Platone, Parmenide (14)

 

[147c] «Quindi non è forse anche sia simile sia dissimile sia a sé stesso sia agli altri?» «Forse». «Poiché, ecco, parve diverso dagli altri, allora anche gli altri saranno affatto diversi da lui». «Beh, che vuol dire?» «Quindi non è forse diverso dagli altri così come gli altri son diversi da lui, né più né meno?» «Ecco già, perché no?» «Se allora non lo è né più né meno, lo è in misura simile». «Sì». «Quindi, in quanto patisce l’esser diverso dagli altri ed allo stesso modo gli altri patiscono l’esser diverso da lui, in questo l’uno patirà comunque l’esser identico agli altri e gli altri patiranno l’esser identici all’uno». [147d] «Come lo argomenti?» «Così: con ciascuno dei nomi non chiami qualcosa cui lo applichi?» «Io sì». «Che dici quindi? Lo stesso nome non puoi pronunciarlo più volte oppure una sola volta?» «Io sì». «Quindi, se lo pronunci una volta sola, designi quello di cui è nome, mentre se lo pronunci spesso, non designi più quell’ente? Oppure, tanto che proferisca lo stesso nome una volta sola, quanto che lo faccia più volte, è assolutamente necessario che tu significhi sempre lo stesso?» «Beh, che vuol dire?» «Quindi anche ‘il diverso’ è nome applicabile a qualcosa?» «Assolutamente sì». [147e] «Allora, quando lo proferisci, tanto una volta sola quanto più volte, non l’applichi ad altro né nomini nient’altro se non quello per cui era nome». «Di necessità». «Quando dunque enunciamo che gli altri sono diversi dall’uno e l’uno è diverso dagli altri, pronunciando due volte il nome ‘diverso’, riferiamo esso sempre a quella natura della quale era nome, nient’affatto ad un’altra». «Beh, assolutamente». «In quanto allora l’uno è diverso dagli altri e gli altri dall’uno [148a] per il fatto stesso di patire il diverso, l’uno sarà allora affetto non da un’altra passione, ma dalla stessa degli altri; però quel che patisce lo stesso è simile; o no?» «Sì». «In quanto dunque l’uno patisce l’essere diverso dagli altri, proprio per questo sarà allora del tutto simile a tutti: infatti è del tutto diverso da tutti». «Si vede di sì».

«Ma, ecco, il simile è contrario al dissimile». «Sì». «Quindi anche il diverso è contrario all’identico». «Anche quello». «Ma, ecco, parve anche questo, ossia che l’uno è identico agli altri». [148b] «Parve, ecco». «Dunque, ecco, l’essere identico agli altri è passione contraria all’essere diverso dagli altri». «Assolutamente sì». «Ecco, in quanto diverso, parve simile». «Sì». «Allora, in quanto identico, sarà dissimile per la passione contraria alla passione che lo rende simile. Però era appunto il diverso che lo rendeva simile?» «Sì». «Lo renderà dissimile allora l’identico, o non sarà contrario al diverso». [148c] «Si vede di sì». «Allora l’uno sarà simile agli e dissimile dagli altri: in quanto diverso, simile; in quanto identico, invece, dissimile». «Ecco dunque che, come sembra, ha anche questo rapporto». «Sì, ed anche quest’altro». «Quale?» «In quanto patisce l’identico, non patisce alterazione; non patendo dunque alterazione, non è dissimile; dunque, non essendo dissimile, è simile; in quanto, però, patisce l’altro, è alterato; essendo alterato, dunque, è dissimile». «Argomenti il vero». «Allora l’uno, giacché è sia identico agli sia diverso dagli altri, per entrambe le ragioni e per ciascuna in particolare, sarà sia simile [148d] agli sia dissimile dagli altri». «Ecco, assolutamente». «Quindi allo stesso modo anche rispetto a sé stesso: poiché parve sia diverso da sé stesso sia identico a sé stesso, per entrambe le ragioni e per ciascuna in particolare non parrà forse sia simile sia dissimile?» «Di necessità».


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