Platone, Filebo (4)
Platone, Filebo (4)
Ago 28Brano precedente: Platone, Fedone (3)
PROTARCO Bellissimi, Filebo, a me, ecco, paiono gli argomenti di cui Socrate ha parlato adesso.
FILEBO [18a] Idem anche per me, ecco; ma perché mai, dunque, si è parlato adesso di questo argomento e che mai volendo?
SOCRATE Toh, Filebo ci ha domandato a buon diritto questo.
PROTARCO Assolutamente, eccome, e rispondigli, ecco.
SOCRATE Lo farò dopo una piccola digressione ancora su questi argomenti. Come, ecco, allorquando qualcuno assume un uno qualunque, egli – così affermiamo – deve osservare subito non la natura dell’illimitato ma un qualche numero, così anche quando, al contrario, qualcuno sia necessitato ad assumere per primo l’illimitato, [18b] deve concepire non subito l’uno bensì qualche numero contenente una qualche pluralità singolarizzata e determinare in unità a partire da questi molti. Daccapo dunque: cogliamo gli argomenti di adesso nelle lettere.
PROTARCO Come?
SOCRATE Dopo che un qualche dio oppure un uomo divino ebbe intuito l’illimitatezza della voce – un racconto in Egitto racconta che questi verrebbe ad essere qualcuno di nome Theuth, che per primo intuì che le vocali, in quest’illimitato, sono non una ma di più e ci son alternative [18c] partecipanti non della voce, bensì di qualche suono, e che c’è un qualche numero anche di queste, poi distinse una terza specie ideale di lettere, quelle chiamate ‘afone’ da noi; dopo di questo divise le mute e le afone sino a ciascuna unità, e allo stesso modo fece con le vocali e le intermedie, finché, cogliendo il loro numero, denominò ‘lettera’ tutte e ciascuna; avendo riguardo dunque al fatto che nessuno di noi sarebbe in grado di mandarne a mente neppure una di per sé senza tutte loro ed avendo anche inferito che questo nesso è unico [18d] ed in qualche modo le unifica tutte, si pronunciò perché ci fosse per esse un’unica tecnica, designandola come ‘grammatica’.
FILEBO Queste relazioni, ecco, mi son entrate in mente più chiaramente di quelle, Protarco; tuttavia è lasciata un po’ fuori dall’argomento la stessa cosa lasciata fuori in precedenza.
SOCRATE Il che sarebbe forse, Filebo, la relazione col discorso?
FILEBO Sì, questo è ciò che da tempo cerchiamo io e Protarco.
SOCRATE Oppure, mentre siete di già, ecco, pervenuti ad esso, lo cercate, come affermi, [18e] da tempo.
FILEBO Come?
SOCRATE Forse che il dialogo tra di noi non era sin dall’inizio su pensiero e piacere, su quale di loro due va scelto?
FILEBO Ecco, come no?
SOCRATE Ebbene, affermiamo che ciascuno di loro due è, ecco, uno.
FILEBO In toto, eccome!
SOCRATE Toh, adesso proprio questo ci chiede il precedente discorso: come mai ciascuno di essi è uno e molti e come mai ciascuno non è subito infinito, [19a] ma è in possesso di un qualunque numero prima di divenire illimitato, ciascuno di tutti loro.
PROTARCO Filebo, non ho veduto qual è il modo tortuoso con cui, facendoci peregrinare come in circolo, Socrate c’ha immessi in una questione, ecco, non banale. E dunque specifica chi di noi due risponderà al quesito di adesso. Dunque, forse questo è ridicolo: che io, che t’ho completamente sostituito qual erede dell’argomento, a causa del non esser capace di rispondere al quesito d’adesso ordini a te di far questo daccapo; però credo sia molto più ridicolo questo: che nessuno di noi due ne sia capace. [19b] Specifica, dunque, che faremo. Ecco, mi sembra che adesso Socrate ci chieda se ci sono idee specifiche del piacere oppure no, e quante sono e quali, ed allo stesso identico modo anche per il pensiero.
SOCRATE Verissime le cose di cui parli, figlio di Callia: ecco, non essendo capaci di fare questo per ogni uno, ogni simile ed ogni identico, e per il contrario, come il precedente discorso c’indicò, allora nessuno di noi verrebbe giammai ad esser degno di nulla per nulla.
PROTARCO [19c] Pressappoco così, Socrate, mi sembra stiano le cose. Ma, benché sia bello per il saggio conoscere il complesso di tutti gli enti, sembra che seconda navigazione sia non latitare da se stessi. Che è dunque questo che le parole adesso verbalizzate da me intendono? Io te lo spiegherò. Tu, Socrate, hai donato a noi tutti questa conversazione e te stesso per distinguere quale degli umani possessi sia il migliore. Ecco: avendo Filebo detto che è il piacere ed il diletto ed il godimento e quant’altro di tal sorta, tu contro di essi ribattesti che [19d] sono non questi ma quelli dei quali spesso noi ci rammentammo volentieri agendo rettamente acciocché, giacendo appresso nella memoria, ciascuna delle alternative fosse saggiabile. Tu professi dunque, come sembra, che bene da proclamarsi rettamente migliore del piacere, ecco, siano intelletto, scienza stabile, comprensione, arte e tutto quel che è congenere a questi, che si deve acquisirli invece di quelli. Essendo dunque stata argomentata in contesto di disputa ciascuna di queste alternative, noi per gioco ti minacciammo [19e] che non t’avremmo rimandato a casa prima d’addivenire a qualche determinazione sufficiente di questi argomenti discussi, tu dunque concordasti e ci hai donato per questo te stesso, e noi dunque diciamo, come i bambini, che non c’è sottrazione dei doni a buon diritto dati: posa dunque per noi tutti questa torsione nel modo di occuparsi degli argomenti di adesso.
SOCRATE Di che parli?
PROTARCO [20a] Indurci all’impasse e porci domande alle quali non possiamo darti adeguata risposta nel presente. Ecco, non crediamo che termine per noi dei discorsi d’adesso sia l’impasse di noi tutti; invece, se noi non possiamo gestire questo, va gestito da te: promettesti, ecco. Delibera dunque relativamente a questo tu stesso se vuoi dividere le idee specifiche del piacere e della scienza stabile oppure lasciar perdere se sei capace ed hai voglia di chiarire in qualche altro modo alternativo gli argomenti discussi adesso da noi.