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Platone, Filebo (29)

Platone, Filebo (29)

Gen 05

Brano precedente: Platone, Filebo (28)

 

SOCRATE  [64c] Ed allora, dicendo che ormai stiamo nei vestiboli del bene e nella sua dimora, in qualche modo professeremmo forse qualcosa di retto?

PROTARCO  Mi sembra di sì, ecco.

SOCRATE  Che cosa, dunque, nella commistione, ci è mai sembrato essere la più stimabile ed assieme la miglior causa del divenire cara a tutti da parte di tale disposizione? Ecco, dopo che avremo visto questo, esamineremo se nel tutto stia costitutivamente più prossimo per natura e più vicino al piacere od all’intelletto.

PROTARCO  [64d] Rettamente: questo, ecco, è importantissimo per il nostro giudizio.

SOCRATE  Ebbene, ecco che non è difficile vedere la causa per cui ogni mistione, qualunque sia, diventa degna di una valutazione o totalmente buona o del tutto non buona.

PROTARCO  Come argomenti?

SOCRATE  Nessun uomo ignora affatto questa cosa.

PROTARCO  Questa quale?

SOCRATE  Che ogni fusione, qualunque sia e comunque capiti, che non colga la natura della misura e della proporzione distrugge gli elementi fusi, e per prima se stessa: ecco, neppure è fusione, [64e] bensì una qualche congerie non fusa tale da divenire ogni volta essenzialmente una sventura per coloro che la posseggono.

PROTARCO  Verissimo.

SOCRATE  Adesso dunque la potenza del bene ci è fuggita nella natura del bello: misura, ecco, e proporzione vengono a generare dappertutto bellezza e virtù.

PROTARCO  Beh, assolutamente.

SOCRATE  Ed ecco che abbiamo affermato che anche la verità è mescolata con esse nella fusione.

PROTARCO  Ecco, assolutamente.

SOCRATE  [65a] Quindi, se non possiamo catturare il bene in una sola idea, prendendolo con tre (bellezza e proporzione e verità), argomentiamo che molto rettamente questo sarà, quale uno, causa delle cose nella commistione, e che mediante lui, che è il bene, anche quest’ultima diviene tale.

PROTARCO  Beh, correttissimo.

SOCRATE  Oramai, Protarco, chiunque di noi può venire ad esser giudice del piacere e del pensiero, discernendo quale dei due [65b] è più affine all’ottimo e più stimabile tra gli uomini e gli dèi.

PROTARCO  Pur essendo chiaro, ugualmente è meglio esaurire l’argomento.

SOCRATE  Toh, allora giudichiamo una per una ciascuna delle tre in relazione al piacere ed all’intelletto: si deve, ecco, vedere a quale dei due riteniamo più affine ciascuna di esse.

PROTARCO  Parli di bellezza e verità e misura?

SOCRATE  Sì. Prima, ecco dunque, prendi la verità, Protarco, [65c] e, presala, dopo aver osservato il trio intelletto-verità-piacere, attendendo molto tempo rispondi a te stesso se è più affine alla verità il piacere o l’intelletto.

PROTARCO  Ma che bisogno c’è di tempo? Ecco, credo che la differenza sia grande. Il piacere è, ecco, bugiardissimo, come da proverbio, e nei piaceri sessuali, che s’opina siano i massimi, anche lo spergiurare ottiene comprensione da parte degli dèi, quasi che [65d] questi piaceri fossero bambini cui non è proprio neppure il più piccolo intelletto; l’intelletto, invece, è o identico alla verità o quel che c’è di più simile a lei e di più vero.

SOCRATE  Quindi, dopo questo, esamina allo stesso modo la misura, se il piacere ne possieda di più del pensiero o il pensiero ne possieda di più del piacere.

PROTARO  Anche questo esame che mi proponi è facile: credo, ecco, che, tra gli essenti, non se ne possa trovare alcuno che sia per natura più smisurato del piacere e del godimento né mai alcuno più misurato dell’intelletto e della scienza stabile.

SOCRATE  [65e] Hai detto bene. Similmente argomenta dunque anche per il terzo. L’intelletto per noi partecipa della bellezza più del genere del piacere, cosicché l’intelletto è più bello del piacere, o il contrario?

PROTARCO  Ma, Socrate, nessuno mai, né in veglia né in sogno, ha né visto né immaginato in nessuna prospettiva, in nessun modo, che pensiero ed intelletto sian venuti ad esser, siano o saranno brutti.

SOCRATE  Rettamente.

PROTARCO  Dunque, ecco che, quando vediamo uno qualunque che gode di piaceri, e questo vale soprattutto per quelli massimi, [66a] guardando il ridicolo e quel che di più vergognoso su tutto ne segue, noi stessi ci vergogniamo e, facendoli sparire dalla vista, li occultiamo il più possibile, dando alla notte tutte le cose di tal sorta, come se la luce non dovesse guardarle.

 

 


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