Platone, Filebo (21)
Platone, Filebo (21)
Nov 27Brano precedente: Platone, Filebo (20)
SOCRATE Forse non è quindi necessario che ciascuno di coloro che ignorano se stessi patiscano questa passione secondo tre aspetti?
PROTARCO Come?
SOCRATE [48e] In primis secondo la ricchezza: opinare di essere più ricchi rispetto all’entità delle loro sostanze.
PROTARCO Molti, infatti, sono coloro che hanno questa passione.
SOCRATE Di più ancora, ecco, sono coloro che opinano di essere maggiori e più belli e, in tutto quanto concerne il corpo, di essere differentemente da come essi sono in verità.
PROTARCO Ecco, assolutamente.
SOCRATE Eppure molti di più – ecco credo – sono coloro che si sbagliano per quel che riguarda la terza specie, quella degli aspetti interiori delle anime, opinandosi parecchio specchiati in virtù senza esserlo.
PROTARCO Beh, assai.
SOCRATE [49a] Tra le virtù, dunque, non è forse sulla sapienza che si sbaglia la massa, che è totalmente colma di attaccamento alle contese e ad una sapienza vanagloriosa, falsa?
PROTARCO E come no?
SOCRATE Dunque, qualora qualcuno dicesse che tale passione è un male totale, allora parlerebbe rettamente?
PROTARCO Ecco, per forza.
SOCRATE Toh, adesso questa specie va ancora divisa in due, Protarco, se c’accingiamo, vedendo il gioco malevolenza, ad osservare la strana mistione di piacere e dolore.
PROTARCO Quindi, com’è che tagliamo in due, come dici di fare?
SOCRATE [49b] Tutti quanti quelli che opinano irriflessivamente questa falsa opinione di se stessi – come tra tutti gli uomini, così anche tra loro è necessarissimo che forza e potenza seguano alcuni di essi, ed il contrario – credo – segua gli altri.
PROTARCO Di necessità.
SOCRATE Dividi, allora, in questa maniera, cioè: quanti di essi sono talmente deboli ed incapaci, venendo derisi, di vendicarsi – affermando che costoro sono ridicoli, pronuncerai il vero; dichiarando temibili ed ostili quelli che invece son capaci di vendicarsi e forti, [49c] darai a te stesso la più corretta definizione di essi. L’ignoranza, ecco, dei forti è odiosa e turpe – è dannosa infatti anche ai vicini, tanto in se stessa quanto per le immagini che di lei ci sono –; quella debole, invece, prende per noi il posto e la natura del ridicolo.
PROTARCO Argomenti molto rettamente. Ma, ecco, la mistione dei piaceri e dei dolori, in questi casi, non mi pare ancora chiara.
SOCRATE Allora comprendi la potenza della malevolenza, in primis.
PROTARCO Ti rimane solo da argomentare.
SOCRATE [49d] Non ci sono, in qualche modo, un dolore qualificabile come ingiusto ed un piacere qualificabile come ingiusto?
PROTARCO Beh, questo è necessario.
SOCRATE E gioire per i mali dei nemici non è né ingiusto né malevolo, no?
PROTARCO Beh, e con ciò?
SOCRATE Ecco, invece il non addolorarsi, bensì gioire, quando si guardano i mali che son propri degli amici, forse non è ingiusto?
PROTARCO E come no?
SOCRATE E non abbiam detto che l’ignoranza è un male per tutti?
PROTARCO Rettamente.
SOCRATE Quindi, rispetto all’illudersi di esser sapienti e all’illudersi di esser belli da parte degli amici, e a quanto abbiam or ora discusso, [49e] argomentando che s’ingenerano tre specie, che, mentre quanto è debole è ridicolo, quanto è forte è odioso, professiamo o non professiamo, come ho appena detto, che questo stato degli amici, quando non sia di qualche danno agli altri, è ridicolo?
PROTARCO Ecco, assolutamente.
SOCRATE Dunque non concordiamo che esso, essendo, ecco, ignoranza, è un male?
PROTARCO Sicuramente, ecco.
SOCRATE Gioiamo, dunque, o soffriamo, quando ne ridiamo?
PROTARCO [50a] Chiaro che gioiamo.
SOCRATE Però non abbiam detto che è la malevolenza quello che produce piacere per i mali degli amici?
PROTARCO Di necessità.
SOCRATE L’argomento afferma che quando noi ridiamo delle ridicolaggini degli amici, fondendo piacere con malevolenza, confondiamo piacere e dolore: ecco, già da prima si concordava tra noi che la malevolenza è un dolore dell’anima, mentre il ridere è un piacere; simultaneamente si generano, dunque, questi due in questi momenti.
PROTARCO Vero.
SOCRATE [50b] Or dunque, l’argomento ci palesa che, nei lamenti e nelle tragedie e nelle commedie, non solo nella finzione ma anche complessivamente nella tragedia e nella commedia della vita, ed anche in miriadi di altri casi, dolori e piaceri si fondono assieme.
PROTARCO Impossibile non concordare con questi argomenti, Socrate, quand’anche si prediligesse assolutamente la vittoria di quelli contrari.
SOCRATE [50c] Abbiam proposto come temi ira e brama e cordoglio e paura e libidine [50c] e gelosia e malevolenza e quant’altre passioni di tal sorta, nelle quali affermavamo che avremmo trovato mescolati quelli dell’abbondante argomentazione di adesso. Sì o no?
PROTARCO Sì.
SOCRATE Abbiamo quindi in mente che tutti gli argomenti or ora trattati sono sul lamento, la malevolenza e l’ira?
PROTARCO Ecco, come potremmo non averlo in mente?
SOCRATE E non sono molte ancora le passioni restanti?
PROTARCO Eh, assolutamente sì.
SOCRATE Dunque, soprattutto per che ragione presumi che io ti abbia indicato la mistione nella commedia? Non è forse per persuadere che nelle paure, [50d] nelle libidini e nelle altre passioni è facile mostrare la fusione? Avendo dunque capito questo da te stesso, mi lascerai andare, senza che, ritornando a quegli oggetti, debba allungare gli argomenti, quando invece si deve capire questo, che sia il corpo senza l’anima, sia l’anima senza il corpo, sia la comunanza dell’uno con l’altra, nelle passioni sono colmi di piacere commisto a dolori. Adesso quindi di’ se mi lasci andare o se mi fai far mezzanotte. Dopo che ti avrò detto poche parole, credo che mi farai andare: ecco, su tutti quanti questi temi desidero darti un argomento domani, [50e] mentre adesso, su quelli rimasti, voglio affrontare il giudizio cui Filebo ci obbliga.
PROTARCO Hai detto bene, Socrate; ma discuti pure quanto resta nella maniera che ti è gradita.