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Platone, Fedone (8)

Platone, Fedone (8)

Set 16

Brano precedente: Platone, Fedone (7)

 

«Eh sì», disse Cebete intervenendo, «e anche secondo quell’argomento, Socrate, se è vero, che sei solito argomentare di frequente, che si dà il caso che il nostro apprendimento mentale non sia altro che reminiscenza, anche secondo quest’argomento è affatto necessario che noi, in un tempo precedente, abbiamo appreso ciò che ora ci rammentiamo. Questo dunque sarebbe [73a] impossibile, se la nostra anima non ci fosse già prima di generarsi in questa forma umana; sicché anche con questo si vede che l’anima è qualcosa d’immortale».

«Ma Cebete», disse Simmia intervenendo, «quali sono le dimostrazioni di questo? Rammemoramele: è dura, ecco… nel presente, non ne ho memoria».

«Con l’unico argomento», disse Cebete, «bellissimo che gli uomini, interrogati (qualora siano ben interrogati), dicono da sé stessi tutto ciò che ha attinenza ‒ ebbene, se non si desse il caso che in essi ci fosse conoscenza stabile e retto ragionamento, non sarebbero capaci di far questo ‒ e poi, qualora qualcuno li orienti sulle figure geometriche o su altre di tali strutture, allora riscontra chiarissimamente che la cosa sta così».

«Se però con questo proprio non ti persuadi, Simmia», disse Socrate, «esamina se tu concordi con la mia dottrina osservandola da questo punto. Dunque, non sei persuaso che ciò che è chiamato ‘apprendimento’ possa esser reminiscenza?»

«Non è proprio che io non ne sia persuaso», disse poi lui: Simmia, «mi devo però appassionare appunto a quello», disse, «su cui verte l’argomento: rammemorare. E da ciò su cui Cebete mise mano nell’argomentare già quasi ne ho memoria e son persuaso; e nondimeno vorrei udire in che modo tu poni mano ad argomentarlo».

[73c] «Sì, io argomenterei in questo modo», disse poi lui, «ecco: concordiamo ovviamente sul fatto che, se qualcuno rammenta qualcosa, allora egli deve averlo prima conosciuto stabilmente».

«Assolutamente sì», disse.

«Quindi concordiamo forse anche su questo: quando s’ingenera conoscenza stabile in questo modo, essa è reminiscenza? Di che modo parlo dunque? Di questo: qualora qualcuno, o vedendo o altrimenti udendo o cogliendo con qualche altra sensazione qualcosa, non conoscesse solo quello, ma riflettesse anche su dell’altro, la conoscenza stabile del quale non fosse la stessa ma altra, non diremmo forse giustamente questo: che si è rammentato di ciò su cui [73d] aveva preso a riflettere?»

«Come dici?»

«Questo è un esempio: altra è la conoscenza stabile dell’uomo, altra invece quella della lira?»

«Sì, come no?»

«Ebbene, non hai forse visto che gli innamorati, qualora vedano una lira o un mantello o qualcos’altro di cui solevano servirsi i loro ragazzi, patiscono questo: riconoscono la lira e percepiscono nella mente l’idea del ragazzo di cui era la lira? Questo dunque è reminiscenza; così qualcuno, vedendo Simmia spesso, si rammenta anche di Cebete, e ci sarebbero miriadi di casi di tal fatta»

«Miriadi davvero, per Giove!», disse Simmia.

[73e] «Quindi», disse poi lui, «un evento tale non è forse una qualche reminiscenza, soprattutto quando uno lo patisce riguardo a quel che è occultato dal tempo e dal non osservarlo più?»

«Assolutamente», disse.

«E dunque?», disse poi lui, «è possibile che chi vede un cavallo dipinto e una lira dipinta si rammenti di un uomo e che chi vede Simmia dipinto si rammenti di Cebete?»

«Assolutamente sì».

«Quindi non è forse possibile anche che chi vede Simmia dipinto si rammenti di Simmia stesso?»

[74a] «Beh, è proprio possibile».

«Quindi, in base a tutto questo, non consegue forse che c’è reminiscenza in certi casi a partire da simili, in altri da dissimili?»

«Ne consegue».

«Ma, ecco, quando qualcuno si rammenta di qualcosa a partire da simili, non è forse necessario che patisca appresso anche questo: che rifletta se questo difetti di qualcosa in somiglianza con ciò di cui si è rammentato oppure no?»

«Di necessità», disse.

«Esamina dunque», disse poi lui, «se queste cose stanno così. Diciamo qui che l’eguale è? Parlo non di legno a legno né di pietra a pietra né di alcuno di tali enti, ma di altro rispetto a tutti loro: dell’eguale in sé. Dobbiamo dire che è qualcosa o niente?»

[74b] «Toh, a sorpresa dobbiamo dire che è qualcosa sì, per Giove!», disse Simmia.

«Conosciamo anche stabilmente che cosa esso è?»

«Assolutamente sì», disse poi lui.

«Donde assumendo conoscenza stabile di esso? Non forse da ciò che or ora dicevamo, vedendo legni o pietre o altri enti che sono eguali, a partire dai quali abbiamo riflettuto su quel che è altro da loro? O ti pare non sia altro? Esamina dunque anche questo punto: legni e pietre eguali talvolta non paiono forse eguali a uno e a un altro no, pur essendo gli stessi?»

«Assolutamente».

[74c] «E dunque? Ti è talvolta parso che gli eguali in sé siano ineguali o che l’eguaglianza sia ineguaglianza?»

«Giammai, Socrate».

«Allora non sono lo stesso», disse poi lui, «questi enti: gli enti eguali e l’uguale in sé».

«In nessun modo, mi pare, Socrate».

«Peraltro, a partire da questi eguali», disse, «che pur sono altri da quell’eguale, hai insieme riflettuto e hai colto la conoscenza stabile di esso»

«Dici cose verissime», disse.

«Che quindi è simile o dissimile da essi, no?»

«Assolutamente sì».

«Ma non fa proprio nessuna differenza», disse poi lui, «fintantoché, veduto qualcosa, a partire da [74d] questa visione rifletti su altro, sia poi simile o dissimile è lo stesso, è necessario», disse, «che si generi reminiscenza».

«Assolutamente».

«E dunque?», disse poi lui, «patiamo forse qualcosa di tale e quale rispetto agli eguali nei legni e in ciò di cui or ora parlavamo? Ci pare forse siano eguali così come lo è l’eguale in sé o sono indigenti in qualcosa di esso, nell’essere tali e quali all’eguale? O non sono indigenti in nulla?»

«Eh sì, sono piuttosto indigenti», disse.

«Quindi non concordiamo forse? Quando qualcuno che vede qualcosa riflette così: “Questo che ora io guardo vuole essere quale un altro degli enti, [74e] però è indigente e non può essere tale e quale a quello ma è inferiore”, è necessario forse che a chi riflette su questo sia accaduto di aver visto primo quello a cui dice che esso rassomiglia pur avendo indigenza rispetto a quello?»

«È così».

«Ma anche su questo concordiamo: non viene da altro questo stesso riflettere né è possibile che ci sia questo riflettere se non dal vedere o dal toccare o da qualche altra tra le sensazioni; dico dunque che tutte loro son lo stesso»

«Sono lo stesso, Socrate, relativamente a ciò che vuol chiarire l’argomento».

«Ma, or dunque, a partire dalle sensazioni si deve riflettere sul fatto che [75b] tutto ciò che è nelle sensazioni si dirige verso quello che è l’eguale, anche se sono indigenti rispetto ad esso; oppure come possiamo argomentare?»

«Così».

«Allora, prima che iniziassimo a vedere e ad udire e ad avere le altre sensazioni bisogna che ci fosse accaduto di già di cogliere la conoscenza stabile di ciò che è l’eguale in sé, se in futuro vi avremmo riferito gli eguali derivati dalle sensazioni, perché tutte aspirano ad essere tali e quali a quello, benché gli siano inferiori».

«Segue di necessità da ciò che si è detto prima, Socrate».

«Ebbene, appena nati, forse non vedevamo e udivamo e avevamo le altre sensazioni?»

«Assolutamente sì».

[75c] «Bisognava dunque, diciamo, che già prima di esse avessimo colto la conoscenza stabile dell’eguale, sì?»

«Sì».

«Prima di nascere allora, come si vede, è necessario che noi l’avessimo colta».

«Si vede di sì».

 

Brano seguente: Platone, Fedone (9)


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2 comments

  1. luigi alfano

    nasciamo ,e siamo già stati,non habbiamo consapevolezza, ma ecco perche oguno di noi ha una dote ,la rinimescenza incosciamente si manifesta ?

    • Giulio Giacometti

      Caro Luigi, fai bene a parlare di ‘dote’: per capire Socrate-Platone è un concetto molto più utile di quello moderno di ‘io’ e della conseguente opposizione consapevole-inconsapevole. Questi autori erano molto meno “egocentrici” di noi, si concentravano sulle strutture impersonali e non su un loro eventuale proprietario, che malauguratamente potrebbe distorcerle gnoseologicamente senza comunque intaccarle ontologicamente.

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