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Platone, Fedone (7)

Platone, Fedone (7)

Set 12

Brano precedente: Platone, Fedone (6)

 

Dunque, quando Socrate ebbe detto questo, intervenendo Cebete disse: «Socrate, gli altri argomenti mi sembra siano buoni, [70a] ma quelli sull’anima arrecano molta diffidenza alle persone: temono che, allorquando si aliena dal corpo, non ci sia più da nessuna parte ma, quel giorno in cui l’uomo muoia, si corrompa e si distrugga; che, non appena si aliena dal corpo ed esce corrompendosi come soffio o vapore, vada via volando e ormai non ci sia più da nessuna parte. Che se fosse raccolta in sé e per sé da qualche parte e alienata dai mali dei quali tu or ora discorrevi, grande e bella speranza sarebbe, Socrate, che sia vero ciò che tu dici; ma su questo dunque ‒ che, seppur l’uomo è morto, l’anima c’è ancora e ha una qualche forza e intelligenza ‒ dev’esserci ugualmente non poca perorazione ed affidabilità».

«Dici il vero Cebete», disse Socrate, «ma che facciamo dunque? Vuoi che c’intratteniamo dialogando su questi stessi argomenti, se abbiano evidenza oppure no?»

«Ecco sì, io», disse Cebete, «con piacere udrei quale dottrina tu abbia su questi argomenti».

«Beh, credo proprio», disse ancora Socrate, «che nessuno che [70c] m’ascolti ora direbbe, neppure se fosse un poeta comico, che ciarlo e faccio discorsi su argomenti che non mi riguardano. Se quindi ti sembra conveniente, bisogna disaminarli. Facciamo dunque la disanima di questo in questo punto: se, allora, nell’Averno ci sono le anime degli uomini trapassati oppure no. Ebbene, c’è un discorso antico, che abbiamo menzionato, secondo il quale sono colà, arrivate da qui, e arrivano daccapo qua e si generano dai trapassati; e, se si ha così che i vivi si rigenerano dai morti, dove altro sarebbero [70d] le nostre anime se non là? Infatti non si rigenererebbero affatto se non fossero, e questa è prova sufficiente di questo, se divenisse manifesto che ontologicamente da nessun’altra parte si generano i vivi se non dai morti; se invece non è così, ci dovrebbe essere un argomento alternativo a questo».

«Assolutamente», disse Cebete.

«Ora però», disse poi lui, «esamina questo argomento non solo rispetto agli uomini, se vuoi comprenderlo facilmente, ma anche rispetto a tutti gli animali e le piante e insomma a tutto quanto ha generazione: [70e] vediamo se tutti gli enti cui accade di essere contrari (come il bello contrario al turpe, il giusto all’ingiusto e migliaia di altri che hanno questa relazione) si generino così, cioè se i contrari non si generino da altro che dai contrari. Esaminiamo quindi questo: se è necessario che quanti hanno un qualche contrario non si generino appunto da nessun’altra parte se non dal loro contrario. Ad esempio, quando qualcosa diviene maggiore, è forse necessario che divenga maggiore in seguito, da minore che era prima?»

«Sì».

«Quindi, se diventa anche minore, non [71a] diverrà forse minore poi, da maggiore che era prima?»

«È così», disse.

«E così dal più forte il più debole e dal più tardo il più rapido?»

«Assolutamente sì».

«E dunque? Da che si genererebbe il peggiore, se non dal migliore, e il più giusto, se non dal più ingiusto?»

«Ecco sì, come no?»

«Sufficientemente quindi», disse «abbiamo provato questo, cioè che tutte le realtà si generano così: da contrari i contrari?»

«Assolutamente sì».

«Beh, e dunque? C’è anche qualcosa in essi qualificabile in tal modo, come due generazioni in mezzo a ciascun ambo di due enti contrari, [71b] una generazione dall’uno all’altro e poi da questo daccapo a quello (in mezzo alla realtà maggiore e alla minore ci sono aumento e diminuzione, e così chiamiamo l’uno ‘aumentare’, l’altro ‘diminuire’)?»

«Sì», disse.

«Quindi anche disgiungersi e congiungersi, raffreddarsi e riscaldarsi, e tutte le cose così, anche se talora non utilizziamo nomi per loro, è comunque di fatto necessario che stiano in ogni caso così: che esse si generino l’una dall’altra e la generazione di ognuna porti alla generazione delle altre?»

«Assolutamente», disse poi lui.

[71c] «E quindi», disse, «al vivere c’è qualcosa di contrario, come al vegliare il dormire?»

«Assolutamente», disse.

«Che è?»

«L’essere morto», disse.

«Quindi questi stati non si generano forse l’uno dall’altro, siccome sono contrari, e le generazioni in mezzo a loro non sono due, essendo essi due?»

«Ecco sì, come no?»

«Allora, dell’una e dell’altra congiunzione di cui parlavo or ora io te ne dirò», disse Socrate, «una e anche la sua generazione; tu, invece, mi dirai l’altra. Parlo dunque del dormire e del vegliare: dal dormire si genera il vegliare e [71d] dal vegliare il dormire e le generazioni di questi due stati sono l’una l’addormentarsi, l’altra lo svegliarsi. Per te è calzante», disse, «o no?»

«Assolutamente».

[71e] «Parla così dunque anche tu a me», disse, «su vita e morte. Non dici forse che l’essere morto è contrario al vivere?»

«Io sì».

«E che dunque si generano l’uno dall’altro?»

«Sì».

«Quindi, dal vivente che cosa si genera?»

«Il morto», disse.

«E dunque che cosa si genera», disse poi lui, «dal morto?»

«È necessario», disse, «convenirne: il vivente».

«Dalle cose morte allora, Cebete, si generano le viventi e i vivi?»

[71e] «Pare», disse.

«Le nostre anime, allora, sono nell’Averno», disse.

«Si vede di sì».

«E quindi, delle due generazioni coinvolgenti questi due stati, l’una non è per caso chiara? Ecco, il morire è affatto chiaro, o no?»

«Assolutamente», disse.

«Quindi», disse poi lui, «come faremo? Non lo correleremo alla generazione contraria? Altrimenti in questo la natura sarà zoppa; o è necessità correlare al morire una qualche generazione contraria

«Del tutto affatto», disse.

«E qual è questa?»

«Il rivivere».

«Quindi», disse poi lui, «se c’è il rivivere, [72a] non sarebbe forse questa la generazione dai morti ai vivi: il rivivere?»

«Assolutamente sì».

«Si concorda allora tra noi anche in questo: i vivi si generano dai morti non meno che i morti dai vivi; dunque, ciò essendo, sembrava prova già sufficiente della necessità che le anime dei morti siano in qualche luogo, da dove poi si rigenerano».

«Mi sembra», disse, «Socrate, che, da ciò che si è convenuto, sia necessario che le cose stiano così».

«Così adesso vedi», disse, «Cebete, che non a torto siam d’accordo, come mi sembra. Se, infatti, non fossero sempre correlati [72b] gli stati che si generano gli uni dagli altri, come andando intorno a un cerchio, ma la generazione fosse solo una qualche retta dall’uno a quello dirimpetto e non si incurvasse di nuovo sull’altro né facesse una curva, vedi bene che tutti terminerebbero stazionari nella stesso stato e patendo le stesse passioni e poserebbero dal generarsi»

«Come dici?», disse.

«Non è per nulla difficile», disse poi lui, «intendere ciò che dico; ma ecco un esempio: se ci fosse l’addormentarsi ma non gli si correlasse lo svegliarsi, generantesi dall’essere addormentato, vedi bene che finirebbe per [72c] dimostrarsi del tutto un’inezia il caso di Endimione e non sarebbe in nessun modo appariscente perché anche tutti gli altri patirebbero la stessa cosa di lui: dormire. E qualora tutto quanto si congiungesse ma non si disgiungesse, presto sarebbe effettivo quel che è stato detto da Anassagora: “Insieme tutte le cose”. Allo stesso modo dunque, caro Cebete, se morisse quanto partecipa del vivere ma, dopo essere morto, permanesse in questo stato di esser-morto e non rivivesse di nuovo, allora non sarebbe forse assolutamente necessario che tutto ciò che ha terminato di vivere [72d] stesse morto e niente vivesse? Se, infatti, i viventi si generassero da enti alternativi ai morti, ma poi i viventi morissero, quale macchinazione ci sarebbe perché tutto non si consumi nella morte?»

«Neanche una, mi sembra», disse Cebete, «Socrate, ma mi sembra tu dica totalmente il vero».

«Ecco, è così», disse, «Cebete, mi sembra sia senz’altro così, e noi concordiamo su questi stessi argomenti senza esserci ingannati, ma è ontologicamente così: si rivive, e i vivi si generano dai morti, e le anime dei morti [72e] ci sono, e per quelle buone è meglio, per le malvagie invece peggio».

 

Brano seguente: Platone, Fedone (8)


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1 comment

  1. luigi alfano

    chissà chi era stato socrate per avere tutta quella saggezza , e chissa chi di noi adesso è Socrate ?

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