Temi e protagonisti della filosofia

Platone, Fedone (31)

Platone, Fedone (31)

Gen 16

Brano precedente: Platone, Fedone (30)

 

Ci sono dunque più luoghi stupendi nella terra ed essa non è in qualità e quantità quale pare nelle dottrine di coloro che sogliono discutere della terra; io sono stato persuaso di questo da uno».

[108d] E Simmia disse: «Che vuoi dire con questo, Socrate? Ecco toh, anch’io sulla terra ho udito molte cose, non comunque queste di cui ti sei persuaso; le udrei quindi con piacere»

«Ma sì, Simmia, non mi sembra sia necessaria l’arte di Glauco per raccontare le cose come sono; comunque verificarle mi pare più difficile in confronto all’arte di Glauco e, insieme a questo, io forse non ne sarei nemmeno capace, ma, anche se ne avessi scienza stabile, la mia vita mi sembra, Simmia, non basterebbe alla lunghezza dell’argomento. Comunque nulla mi vieta di discorrere dell’idea della terra, quale [108e] mi son persuaso che sia, e delle regioni di essa».

«Ma», disse Simmia, «anche questo basta».

«Orbene, io mi son persuaso», disse poi lui, «in primis che se la terra, che è sferica, è in mezzo al mondo, essa non necessita di niente per non cadere, né [109a] di aria né di alcun’altra costrizione simile a questa, ma per sostenerla è sufficiente l’universale somiglianza a se stesso del cielo e l’equilibrio della terra stessa: infatti, una cosa equilibrata posta in mezzo a qualcosa di similmente equilibrato non avrà modo d’inclinarsi né molto né poco da nessuna parte, ma, mantenendo una condizione similare, rimane non inclinata. Orbene di questo in primis», disse poi lui, «mi son persuaso».

«E correttamente, sì», disse Simmia.

«E ancora», disse, «mi son persuaso che essa sia qualcosa di assai grande e che noi – tra le colonne d’Ercole e il Fasi – abitiamo [109b] in una parte piccola intorno al mare come formiche o rane abitanti intorno a uno stagno e che altri abitino altrove in molti luoghi simili a questo. Son persuaso che ci siano, infatti, ovunque per la terra molte cavità di ogni specie sia nelle forme sia nelle magnitudini, verso le quali confluiscono sia l’acqua sia la nebbia sia l’aria; essa però, la terra in sé, pura giace nel cielo puro in cui sono gli astri, il quale però dai più tra coloro che sogliono discorrere di tali argomenti è denominato etere, [109c] del quale dunque queste sono sedimenti e confluiscono sempre verso le cavità della terra. Quindi per noi, che abitiamo nelle cavità di essa, ciò è nascosto nella latenza e crediamo di abitare in alto, sopra la terra, come se qualcuno che abita in mezzo al fondale del mare credesse di abitare sopra il mare e, attraverso l’acqua vedendo il sole e l’altre stelle, ritenesse che il mare sia il cielo, e dunque, per [109d] tardezza e debolezza non essendo mai arrivato sulla cima del mare, non avesse potuto né vedere, emergendo dal mare e facendo capolino in questo luogo, quanto più puro e più bello si trova ad essere rispetto al suo, né udirne parlare da un altro che avesse visto. Questa stessa cosa dunque patiamo anche noi: abitando, infatti, in qualche cavità della terra, crediamo di abitare al di sopra di essa e chiamiamo cielo l’aria siccome attraverso di essa, come se fosse cielo, le stelle si spostano – il che è dunque lo stesso: [109e] subendo debolezza e tardezza noi non siamo qualificati a risalire sino all’aria estrema; giacché, se qualcuno giungesse alla vetta di essa o, divenuto alato, alto volasse, vedrebbe, facendo capolino, come i pesci di qui, facendo capolino dal mare, vedono quel che c’è qui, così anche lui vedrebbe gli enti di là, e se la sua natura fosse sufficiente per sostenere ciò che contempla riconoscerebbe che quello è veramente il cielo, che quella è la luce verace [110a] e che quella è per davvero la terra. Infatti, questa terra qui, queste pietre e tutta questa regione nel suo insieme sono corrose e consunte, come quel che è nel mare lo è dalla salsedine e né nasce alcunché di degno di nota nel mare né, per così dire, v’è alcunché di perfetto, ma vi sono grotte e poi sabbie e melme ingestibili e pantani, ovunque sia anche terra, ciò che non è in alcun modo degno di esser giudicato comparabile alle bellezze presso di noi. E quelle di là parrebbero dunque differire anche molto di più in bellezza rispetto a queste presso di noi; [110b] ecco dunque, se anche dire una favola è bello, è cosa degna ad ascoltarsi, Simmia, quali di fatto siano gli enti sulla terra sotto il cielo».

«Ma sì», disse Simmia, «Socrate, sarà soave per noi udire questa favola».

«Orbene, si dice», disse, «compare, in primis che essa, la terra, è tale a vedersi, se la si contempli dall’alto, quale le palle a dodici spicchi: variopinta, divisa per colori, dei quali sono meramente indizi i colori che utilizzano i pittori di qui. [110c] Vista da là dunque tutta la terra è costituita di tali colori e molto più splendidi e più puri ancora di questi: quinci, infatti, è porporina e stupenda in bellezza, quindi è dorata alla vista, altrove poi, ove è bianca, è più bianca del gesso o della neve, ed è costituita allo stesso modo di altri colori ancor di più e più belli di quanti noi ne abbiam veduti. Ed ecco che queste stesse sue cavità, essendo riempite di acqua e aria, [110d] presentano alla vista una qualche specie di colore che risplende nelle altre varietà cromatiche, cosicché essa appare alla vista in un’unica varietà continua. Dunque in essa, che è fatta in tal modo, in proporzione si producono i suoi prodotti: alberi, fiori e i frutti; e allo stesso modo anche le montagne e le pietre hanno, secondo la stessa proporzione, la loro levigatezza e la loro trasparenza e i colori ancor più belli; anche quelle pietruzze di qui che sono così amate (corniole e diaspri e smeraldi e tutte quelle simili a queste) sono particelle di esse; [110e] là dunque non c’è nulla che non sia tale e anche più bello di queste pietruzze. La causa esplicativa di questo, dunque, è che quelle pietre sono pure e non smangiucchiate né corrose, come quelle di qua, da putredine e salsedine per i depositi che vi confluiscono, i quali alle pietre, alla terra e agli animali e alle piante procurano brutture e morbi. La terra stessa, dunque, è adornata da tutti questi ornamenti, e anche dall’oro e dall’argento e [111a] dagli altri metalli simili a questi. Essi infatti sono naturalmente appariscenti, molti di numero e grandi e son dappertutto sulla terra, sicché essa a vedersi è uno spettacolo di spettatori beati. Su di essa, d’altronde, vi sono anche molti animali e uomini; di essi alcuni abitano in mezzo alla terra, altri intorno all’aria, come noi intorno al mare, altri ancora in isole che l’aria circonda e sono presso il continente; e, in una parola, ciò che l’acqua e il mare sono per noi, rispetto al nostro uso, là lo è [111b] l’aria e, dunque, ciò che per noi è l’aria, là è l’etere. Poi essi hanno stagioni talmente temperate che loro sono senza malattie e vivono molto più tempo degli uomini di qui e in vista e udito e intelligenza e in tali capacità tutte ci distanziano della stessa distanza con cui l’aria distanzia in purezza l’acqua e l’etere l’aria. E inoltre vi sono boschi sacri agli dei e templi nei quali gli dei abitano, ci sono, e oracoli e vaticini e percezioni degli dei e per loro avvengono tali comunioni con loro; [111c] ed ecco che anche il sole e la luna e le stelle sono visti da loro quali di fatto sono e vi è ogni altra beatitudine concomitante a queste cose.

 

Brano seguente: Platone, Fedone (32)


Ti è piaciuto il post? Dona a Filosofia Blog!

Cliccando sul pulsante qui sotto puoi donare a Filosofia Blog una piccola cifra, anche solo 2 euro, pagando in modo sicuro e senza commissioni. Così facendo contribuirai a mantenere i costi vivi di Filosofia Blog. Il servizio di donazioni si appoggia sul circuito il più diffuso e sicuro metodo di pagamento online, usato da più di 150 milioni di persone. Per poter effettuare la donazione non è necessario avere un account Paypal, basta avere una qualsiasi carta di credito o Postepay. Grazie!

Leave a Reply