Platone, Fedone (27)
Platone, Fedone (27)
Dic 19Brano precedente: Platone, Fedone (26)
«E dunque esamina se concordi con me anche su questo. Chiami ‘caldo’ e ‘freddo’ qualcosa?»
«Io sì».
«Questi sono forse neve e fuoco?»
[103d] «Per Giove, per me non lo sono!»
«Ma allora il caldo è un che di altro dal fuoco e il freddo un che di altro dalla neve?»
«Sì».
«Ma credo sia questa qui la tua dottrina: giammai la neve, che è appunto neve, accogliendo il caldo, come argomentavamo prima, sarà ancora ciò che era (neve, eppur calda), ma, approssimandosi il caldo, o si scosta o perisce».
«Assolutamente sì».
«E anche il fuoco, approssimandosi il freddo, o gli si sottrarrà o perirà; comunque non tollererà, accogliendo la freddezza, di essere ancora ciò che era, fuoco eppur freddo».
[103e] «Argomenti il vero», disse.
«Ora, è dato», disse poi lui, «per alcune di tali cose, che meriti lo stesso nome per un tempo eterno non solo l’idea in se stessa, ma anche qualcos’altro che, benché non sia quella, ha sempre la forma di quella fintantoché è. Però in quest’esempio ciò che argomento sarà ancora più chiaro, ecco: al dispari deve sempre capitare questo nome che diciamo adesso, o no?»
«Assolutamente sì».
«Allora solo esso tra gli enti ‒ ecco, questo domando ‒ o anche qualche altro [104a] che non è tal quale il dispari deve ugualmente essere sempre chiamato, oltre che col suo stesso nome, anche con questo perché è così connaturato da non essere mai abbandonato dal dispari? La qual cosa, dico, possono patire e il tre e altre pluralità. Esamina dunque il tre. Allora, non ti sembra che sia sempre da designarsi sia col suo nome sia con quello del dispari, che pur non è tal quale il tre? Ma nondimeno sia il tre sia il cinque sia tutta insieme una metà dei numeri son così connaturati che [104b] sempre ciascuno di essi è dispari pur non essendo tal quale il dispari. E anche il due e il quattro e l’altra serie dei numeri tutta insieme… pur non essendo tal quale il pari, ciascuno di essi è sempre pari lo stesso. Ne convieni o no?»
«Sì, come no?», disse.
«Toh, adesso», disse, «considera ciò che voglio chiarire. Dunque… è questo: pare che non solo quei contrari non si accettino l’un l’altro, ma anche quante tra le cose, pur non essendo contrarie l’una all’altra, contengono sempre i contrari; neanche queste, verosimilmente, accettano quell’idea che sia contraria a quella che è in loro, ma, al suo avvento, o [104c] periscono o le si sottraggono. O non diremo che il tre o perirà o patirà quant’altro prima di divenire un ente pari pur permanendo ancora tre?»
«Assolutamente sì», disse Cebete.
«Cionondimeno», disse poi lui, «il due non è contrario al tre».
«Ecco, no».
«Allora non solo le idee contrarie non sopportano di soverchiarsi l’un l’altra, ma neanche altri enti, quali essi siano, sopportano che i contrari li soverchino».
«I tuoi argomenti sono verissimi», disse.
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