Temi e protagonisti della filosofia

Platone, Fedone (25)

Platone, Fedone (25)

Dic 12

Brano precedente: Platone, Fedone (24)

 

«Mi pare, ecco, che se c’è qualche altra bellezza oltre al bello stesso, per nessun’altra causa sia bella se non perché partecipa del contenuto di quel bello; e argomento in questo modo per tutti gli enti. Convieni che la causa esplicativa sia tale?»

«Ne convengo», disse.

«Toh, allora», disse poi lui, «mi tolgo di mente e non posso più riconoscere le altre spiegazioni causali: quelle scientifiche; invece, se qualcuno mi dice [100d] che un qualunque ente è bello perché ha o un colore smagliante o per la figura o per qualche altra causa simile, tante grazie ma lascio perdere queste altre spiegazioni ‒ mi turbo, ecco, in tutte queste altre spiegazioni ‒ e mi attengo a questa, benché sia semplice, non artificiosa e a prima vista sciocca, cioè che null’altro fa sì che esso sia bello se non la presenza di o la comunanza con quel bello, ovunque e comunque poi avvenga (infatti mi sforzo di dimostrare non questo, ma che è per il bello che tutti gli enti belli son belli). Questa infatti mi sembra sia la risposta più sicura sia per me sia per altri e, tendendomi a questo, [100e] ritengo che non potrò mai cadere e che anzi rispondere che è per il bello che gli enti belli divengono belli sia sicuro sia per me sia per chiunque altro; oppure a te sembra di no?»

«Sembra di sì».

«Allora anche che è per la grandezza che gli enti grandi sono grandi e i maggiori maggiori e per la piccolezza che i minori sono minori?»

«Sì».

«E allora, se qualcuno dicesse che uno è maggiore di un altro per il capo e che il minore dei due è minore per lo stesso, tu non l’accetteresti [101a] ma dichiareresti che tu non puoi argomentare null’altro se non che il maggiore ‒ ogni ente maggiore di un altroper null’altro è maggiore se non per la grandezza e che il minore, invece, per null’altro è minore se non per la piccolezza e a causa di questo è minore, della piccolezza, paventando, credo, che ti si controargomentasse ‒ qualora dicessi che qualcosa è maggiore o minore per il capo ‒ che, in primis, per lo stesso ente il maggiore è maggiore e il minore è minore e, inoltre, che il maggiore è maggiore per il capo, che è piccolo [101b], e dichiareresti dunque che questo è mostruoso, che qualcosa sia grande per qualcosa di piccolo; o non paventeresti questi controargomenti?»

E Cebete, ridendo, disse: «Io sì».

«Quindi», disse poi lui, «non paventeresti di argomentare che il dieci è maggiore dell’otto per il due e che per questa causa esplicativa lo supera invece che per la pluralità e a causa della pluralità e che il bicubito è maggiore del cubito per la metà invece che per la grandezza? Ecco, la paura qui è la stessa».

«Sì, in toto».

«Che dire dunque? Addizionando uno a uno, non ci andresti ben cauto nell’argomentare che causa esplicativa del generarsi del due è l’addizione [101c] o, dividendo, la divisione? E urleresti a gran voce che non vedi come altrimenti ciascun ente si generi se non partecipando al contenuto di quell’essenza singolare di cui può partecipare e, in questi casi, non hai alcun’altra causa esplicativa del generarsi del due se non la partecipazione al contenuto della dualità, cui devono partecipare gli enti che sono in procinto di essere due. E devono partecipare al contenuto dell’unità gli enti che sono in procinto di essere uno. Dunque manderesti tanti saluti a queste divisioni ed addizioni e a tutte le finezze altrettali, lasciando rispondere a quelli che son più scienziati di te; tu invece, temendo, secondo il [101d] detto, la tua ombra e la tua imperizia, tenendoti a quell’ipotesi sicura, puoi rispondere così. Se poi qualcuno si tenesse a quest’ipotesi, gli manderesti tanti saluti e non risponderesti finché non avessi esaminato se le conseguenze di essa ti suonano coerenti o incoerenti; poi, qualora tu dovessi dar ragione di quella stessa ipotesi, dovresti darla allo stesso modo, ponendo un’altra ipotesi ancora, la quale ti paia eccellentissima tra le più alte, [101e] sinché non abbia raggiunto un che di sufficiente, col che non t’infervoreresti, come gli antilogici, a discutere simultaneamente del principio e delle conseguenze di esso, se volessi scoprire qualcosa degli enti. Per loro, infatti, forse non c’è argomento né pensiero alcuno su questo: arrivano infatti, grazie alla loro scienza, a esser capaci di mescolare insieme tutti gli enti e di compiacersene pure; tu invece, se sei dei filosofi, [102a] credo farai come io dico».

«Dici cose verissime», dissero insieme Simmia e Cebete.

ECHECRATE: Per Giove, Fedone, lo dissero a ragion veduta, sì: mi sembra infatti stupendo che egli abbia parlato in un modo che è illuminante anche per chi ha poco intelletto.

FEDONE: Eh già, assolutamente, Echecrate; così sembrò anche a tutti i presenti.

ECHECRATE: E così a noi che non c’eravamo ma lo udiamo adesso. Ma quali furono dunque gli argomenti discussi dopo questi?

 

Brano seguente: Platone, Fedone (26)


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