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Platone, Fedone (16)

Platone, Fedone (16)

Ott 24

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[88c] Quindi tutti, all’udirli parlare, fummo affetti da dispiacere (come poi ci saremmo detti l’un l’altro) perché, essendoci fortemente fidati dell’argomento di prima, ci sembrava di essere daccapo riturbati e sospinti nella diffidenza non solo per quanto concerne gli argomenti prima proferiti ma anche rispetto a quelli che sarebbero stati proferiti poi: non sarà stato mica che fossimo critici da nulla oppure che gli argomenti prodotti fossero inaffidabili?

ECHECRATE: Per gli déi, Fedone, ho comprensione per voi! E difatti anche a me, ascoltandoti ora, [88d] vien da dire a me stesso qualcosa di tale e quale: «E allora a quale argomento ci affideremo? Ecco, un argomento così fortemente affidabile, com’è quello che Socrate argomentava, ora è scaduto in diffidenza». Infatti ora e sempre mi sorprende stupendamente quest’argomento che la nostra anima è una qualche armonia e mi rammemorò, come fu detto, che queste dottrine erano professate anche da me. E ho totalmente bisogno, daccapo come all’inizio, di qualche altro argomento che possa persuadermi che l’anima non muore col morto. Di’ quindi, per Giove: in che modo Socrate procedette con l’argomento? E forse che [88e] anche lui, come dici di voi, divenne palesemente imbarazzato? Oppure no, tutt’altro: soccorse con calma l’argomento? E lo soccorse sufficientemente o manchevolmente? Raccontaci tutto quanto il più esattamente che puoi.

FEDONE: Ebbene, Echecrate, pur essendomi più volte stupito di Socrate, non ero mai stato così affascinato come allora ad essergli accanto. [89a] Beh, che egli avesse di che argomentare forse non è per nulla strano, ma io soprattutto mi stupii di lui in primis per questo: per il piacere e la benevolenza e l’affetto con cui si dedicò all’argomento dei novellini; inoltre, per l’acume con cui sentì le passioni suscitate in noi dagli argomenti; inoltre, per la bontà dei rimedi con cui ci guarì e, come fossimo stati fuggiaschi e sconfitti, ci richiamò e pressò a proseguire ed esaminare insieme l’argomento.

ECHECRATE: Come fece dunque?

FEDONE: Te lo dirò. Mi capitò, ecco, di essere seduto alla sua destra [89b] vicino al letto su uno sgabello; egli dunque era di molto più in alto di me. Accarezzandomi quindi il capo e lisciandomi i capelli sul collo ‒ soleva infatti, quando capitava, giocare con i miei capelli ‒, disse: «Dunque domani, Fedone, reciderai queste belle chiome».

«Si vede di sì», dissi dunque io, «Socrate».

«No invece, se ti fiderai di me».

«Ma come?», dissi poi io.

«Oggi», disse, «io reciderò le mie e tu le tue, qualora l’argomento ci si spegnesse e non riuscissimo a rivitalizzarlo [89c]. E io, se fossi in te e mi sfuggisse l’argomento, farei giuramento, come gli Argivi, di non farle ricrescere prima di aver vinto combattendo l’argomento di Simmia e Cebete».

«Ma», dissi poi io, «si dice che contro due neanche Ercole è capace di vincere».

«Ma», disse, «chiama anche me come Iolao, sinché c’è luce».

«Toh, allora ti chiamerò», dissi, «ma non come Ercole che chiama Iolao, ma come Iolao che chiama Ercole».

«Non farà nessuna differenza», disse.

 

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