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Platone, Eutifrone (11)

Platone, Eutifrone (11)

Ago 06

 

 

Brano precedente: Platone, Eutifrone (10)

 

EUTIFRONE   Molto bene, o Socrate, hai compreso ciò che dicevo.

SOCRATE   Sono infatti desideroso, o amico, della tua sapienza e protendo l’intelletto ad essa, sicché non cada a terra ciò che dici. Ma dimmi: qual è questo servizio agli dèi? Professi che è sia domandare ad essi sia donare a loro?

EUTIFRONE   Io sì.

SOCRATE   Quindi, ecco, il domandare rettamente non sarebbe forse domandare ad essi proprio quelle cose delle quali abbiam bisogno?

EUTIFRONE   Che altro?

SOCRATE   [14e] Ed anche il donare rettamente, a sua volta, sarebbe ridonare quelle cose delle quali si dà il caso abbian bisogno da noi? Ecco, non sarebbe affatto acconcio recar doni dando a qualcuno le cose delle quali non ha alcun bisogno.

EUTIFRONE   Dici il vero, o Socrate.

SOCRATE   Allora la santità sarebbe una qualche arte commerciale tra dèi ed uomini, fra gli uni e gli altri.

EUTIFRONE   Denominala commerciale, se ti piace di più denominarla così.

SOCRATE   Ma a me non piace di più per nulla, se non si dà il caso sia vero. Dimmi invece: quale giovamento si dà il caso ci sia per gli dèi dai doni che ricevono da noi? Ecco, quanto a quelli che danno, [15a] è chiaro ad ognuno: ecco, per noi non c’è alcun bene che non ci sia stato dato da loro. Quanto a quelli, invece, che ricevono da noi, in che se ne giovano? Oppure di tanto eccelliamo su di essi nel commercio che riceviamo tutti i beni da essi, mentre loro da noi nessuno?

EUTIFRONE   Ma credi, o Socrate, che gli dèi si giovino di quei beni che ricevono da noi?

SOCRATE   Ma che cosa ordunque sarebbero mai, o Eutifrone, questi doni da parte nostra agli dèi?

EUTIFRONE   Che altro credi dunque siano se non onore ed offerte e – ciò di cui io testé parlavo – gratitudine?

SOCRATE   [15b] Quel ch’è gradito allora, o Eutifrone, sarebbe il santo, non già quel ch’è giovevole, né quel ch’è caro, agli dèi?

EUTIFRONE   Io credo, ecco, soprattutto quel ch’è caro.

SOCRATE   Allora, come sembra, il santo è ancora questo: quel ch’è caro agli dèi.

EUTIFRONE   Molto bene, ecco.

SOCRATE   Ti stupisci dunque, argomentando queste soluzioni, se gli argomenti ti paiono non rimanere fermi ma camminare, ed accusi me, Dedalo che li fa camminare, benché tu sia, ecco, molto più scaltro di Dedalo e li faccia andare in cerchio? E non percepisci che l’argomento, percorsa una circonferenza, ci [15c] arriva daccapo allo stesso punto? Rammenta, ecco qua, che in precedenza il santo ed il caro agli dèi non ci parvero lo stesso ma diversi l’uno dall’altro; o non rammenti?

EUTIFRONE   Io sì.

SOCRATE   Ora quindi non intendi che professi che il caro agli dèi è santo? Questo dunque che altro viene ad essere se non quel ch’è loro caro? O no?

EUTIFRONE   Assolutamente, ecco.

SOCRATE   Quindi o gli argomenti concordati testé non eran buoni, oppure, se allora eran buoni, ora non ne facciamo di corretti.

EUTIFRONE   Sembra.

SOCRATE   Dall’inizio, allora, bisogna che noi ispezioniamo che cos’è il santo, siccome io, prima d’averlo imparato, non mi spaventerò di buon grado. [15d] Ma non disistimarmi, ma, concentrando in ogni modo la mente al meglio, adesso dimmi la verità: la sai, ecco, se mai alcun altro degl’uomini, e non bisogna lasciarti andare, come Proteo*, prima che l’abbia detta. Se, ecco, non sapessi illuminatamente che cos’è il santo e che cosa il non santo, allora non ci sarebbe motivo per cui avresti deciso di accusare dell’omicidio di quel lavoratore tuo padre, uomo vecchio, ma, rispetto agli dèi, avresti temuto di rischiare di non agire rettamente facendolo e, rispetto agli uomini, ti saresti vergognato; ora, invece, so bene che [15e] credi di saper illuminatamente che cos’è il santo e cosa non lo è. Dimmelo quindi, o ottimo Eutifrone, e non nascondermi ciò che ne pensi.

EUTIFRONE   Un’altra volta, o Socrate: adesso, ecco, ho fretta d’andare in un posto, ed è ora che me ne vada.

SOCRATE   Che fai, o compare! Te ne vai precipitandomi da una grande speranza che avevo, cioè che, avendo imparato da te le cose sante e quelle che non lo sono, mi sarei affrancato dall’accusa di Meleto, dimostrando [16a] a lui che ero ormai divenuto sapiente sulle cose divine ad opera di Eutifrone e che non mi sarei più comportato con ignoranza né avrei innovato su di esse e che dunque avrei vissuto meglio l’altra parte della vita.

 

Nota

* Sapiente profeta che fuggiva e cambiava aspetto per evitare le domande.

 

Brano iniziale: Platone, Eutifrone (1)

 

 


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