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Platone, Apologia di Socrate (8)

Platone, Apologia di Socrate (8)

Ott 01

 

 

Brano precedente: Platone, Apologia di Socrate (7)

 

Non rumoreggiate, o uomini d’Atene, ma rimanete nell’atteggiamento che vi pregai di tenere: di non rumoreggiare per le cose che argomento ma di ascoltare: ed infatti, com’io credo, vi gioverà ascoltare. Ecco quindi, sto per dirvi anche delle altre cose per le quali forse griderete. Ma non fatelo in alcun modo. Ecco, sappiate bene che se ucciderete me, che sono tale e quale vi dico, non danneggerete me più che voi stessi: a me, infatti, non recherebbero alcun danno né Meleto né Anito, né, ecco, potrebbero: [30d] non penso infatti sia conforme all’ordine universale che un uomo migliore sia danneggiato da uno peggiore. Casomai potrebbe uccidere od esiliare o privare della cittadinanza; forse lui o qualcun altro pensa che questi sian proprio grandi mali, mentre io non lo penso, ma penso lo sia molto di più fare ciò che egli fa adesso qui: tentare d’uccidere un uomo ingiustamente. Adesso quindi, o uomini d’Atene, son ben lungi dall’argomentare la difesa per me stesso, come qualcuno potrebbe pensare, l’argomento invece per voi, perché non commettiate uno sbaglio per quanto concerne il dono del dio per voi, [30e] condannandomi. Se infatti mi ucciderete, non troverete facilmente un altro tale quale me, semplicemente ‒ anche se è abbastanza ridicolo a dirsi ‒ messo addosso dal dio alla città come ad un cavallo grande e di razza eppure intorpidito dalla grandezza e bisognoso d’esser destato da un tafano; così dunque mi sembra che il dio mi abbia apposto alla città: uno tale che, destandovi e persuadendovi e rimproverandovi [31a] uno ad uno, non poso mai dall’assediarvi ovunque per l’intera giornata. Un altro di tal sorta quindi non verrà a voi facilmente, o uomini, ma se vi fidate di me, mi risparmierete: forse invece voi, importunati come coloro che, appena assopiti, son destati, colpendomi, fidandovi di Anito, mi uccidereste tranquillamente, ed allora per il resto della vita continuereste a dormire, se il dio non vi invia qualcun altro, custodendovi. Che dunque si dia il caso che io sia tale da esser stato donato dal dio alla città, potrete comprenderlo da questo: ecco, non [31b] sembra umano il fatto che io abbia trascurato tutti quanti i miei interessi e regga da ormai tanti anni la trascuratezza degli affari di casa mia, mentre agisco sempre per il vostro interesse, accostandomi a ciascuno in privato come un padre od un fratello maggiore persuadendo a curarsi della virtù. E se con queste attività avessi lucrato e dessi queste raccomandazioni prendendo qualche compenso, avrei qualche ragione; adesso invece vedete anche voi che gli accusatori, pur avendomi accusato così impudentemente di tutte le altre cose, ecco, non son divenuti capaci: di raggiungere l’impudenza di presentare [31c] un testimone del fatto che io abbia mai riscosso o domandato qualche compenso. Come testimonianza sufficiente ‒ penso ecco ‒ del fatto che dico il vero io presento la povertà.

 

Brano seguente: Platone, Apologia di Socrate (9)

 

 


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