Platone, Apologia di Socrate (6)
Platone, Apologia di Socrate (6)
Set 17
Brano precendete: Platone, Apologia di Socrate (5)
Ma ecco, o uomini d’Atene, ormai [26b] è chiaro quello che io argomentavo, cioè che di queste cose Meleto non s’è mai curato né molto né poco. Dicci ugualmente, dunque: come affermi che io corrompa, o Meleto, i giovani? Oppure è chiaro, conformemente all’atto d’accusa che hai scritto, che è insegnando a credere non negli dèi nei quali la città crede ma in altre divinità nuove? Non argomenti che corrompo insegnando queste cose?»
«Beh, assolutamente, argomento decisamente questo».
«Toh, allora per questi stessi dèi sui quali adesso c’è argomentazione, parla ancora più chiaramente sia a me sia a [26c] questi uomini qui: io infatti non riesco a capire se argomenti che io insegno a credere che ci siano alcuni dèi – ed allora anch’io credo che ci sono dèi e non sono in tutto e per tutto ateo né delinquo in questa maniera ‒, non tuttavia quelli nei quali, ecco, crede la città ma altri, e questo è ciò di cui mi accusi, che son altri, o se affermi che io in tutto e per tutto non credo negli dèi ed insegno questo agli altri.
«Questo argomento, che in tutto e per tutto non credi negli dèi».
[26d] «O stupendo Meleto, a che fine dici questo? Allora non credo, come gli altri uomini, che siano dèi né il sole né la luna?»
«Per Giove, o uomini d’Atene, perché afferma che il sole è pietra e la luna terra!»
«Pensi d’accusare Anassagora, o caro Meleto? E sottovaluti così tanto costoro e pensi che essi siano così inesperti di lettere da non sapere che i libri di Anassagora di Clazomene son colmi di questi argomenti? E dunque i giovani imparano proprio da me queste cose, una volta che è loro possibile [26e] comprare ciò all’orchestra, a dir molto per una dracma, per ridicolizzare Socrate se finge che siano sue, tanto più che sono così strane? Ma, o per Giove, ti sembro così, credo non ci sia alcun dio?»
«Ebbene no, per Giove, neppure uno».
«Sei inaffidabile, o Meleto, e su queste cose persino ‒ come mi sembra ‒ per te stesso. A me infatti sembra che questo qui, o uomini d’Atene, sia superbo e sfrenato e che abbia scritto quest’accusa insulsamente, per una certa qual superbia e sfrenatezza e immaturità. [27a] Sembra infatti uno che mi metta alla prova confezionando un enigma: “Socrate il sapiente saprà dunque riconoscere che io scherzo e mi contraddico, o ingannerò lui e gli altri che ascoltano?”. Mi pare infatti che costui si contraddica nell’atto d’accusa come se dicesse: “Socrate delinque non credendo negli dèi, ma credendo negli dèi”. E questo, toh, è proprio di uno che scherza.
Ispezionate con me dunque, o uomini, in qual maniera mi pare dica questo; tu invece rispondici, o Meleto. Voi invece, come [27b] vi ho domandato all’inizio, ricordatevi di non rumoreggiare se faccio i discorsi nel solito modo.
C’è qualcuno tra gli uomini, o Meleto, che crede che ci siano cose umane, ma non creda negli uomini? Risponda, o uomini, e non rumoreggi di continuo; c’è qualcuno che non crede nei cavalli, ma nelle cose equine sì? O che non crede esistano flautisti, ma le performance col flauto sì? Non c’è, o ottimo tra gli uomini; se tu non vuoi rispondere, te lo dico io e questi altri qui. Ma [27c] rispondi, ecco, alla domanda successiva a questa: c’è qualcuno che crede che ci siano cose demoniche, ma non crede nei demoni?»
«Non c’è».
«Come sei stato di sostegno, benché a stento, a rispondermi costretto da questi qui. Dunque tu affermi che io credo in cose demoniche e le insegno anche, siano esse nuove o antiche, ma comunque credo in cose demoniche, conformemente al tuo argomento, e l’hai anche giurato nell’atto d’accusa. Ma se credo in cose demoniche, è assolutamente necessario dunque che io creda anche che ci siano demoni; non è così? È così, dunque: pongo, ecco, che tu concordi, poiché non rispondi. Ma [27d] non consideriamo, ecco, i demoni o dèi o figli di dèi? Lo affermi o no?»
«Assolutamente sì».
«Quindi, se credo nei demoni, come tu affermi, e se i demoni sono degli dèi, allora è per questo che io affermo che tu parli per enigmi e scherzi, nell’affermare che non credendo negli dèi tuttavia vi credo, perché, ecco, credo nei demoni; se poi i demoni sono dei figli bastardi degli dèi nati o da nife o da altre madri delle quali pure si parla, allora quale uomo crederebbe che ci siano figli di dèi, ma non dèi? [27e] Ecco, sarebbe similmente strano se uno credesse nei figli di cavalle e d’asini, i muli, ma non credesse che ci sono cavalle ed asini. Ma, o Meleto, non è possibile che tu abbia scritto quest’accusa se non per metterci alla prova o siccome eri in impasse rispetto a un vero illecito di cui accusarmi; comunque non c’è nessuna macchinazione con cui tu possa persuadere qualcuno, anche se ha poco intelletto, che è proprio dello stesso uomo credere sia in cose demoniche sia in cose divine e tuttavia [28a] che è proprio di quello stesso non credere né in demoni né in dèi né in eroi».
Brano seguente: Platone, Apologia di Socrate (7)