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Platone, Apologia di Socrate (3)

Platone, Apologia di Socrate (3)

Ago 27

 

Brano precedente: Platone, Apologia di Socrate (2)

 

Orbene qualcuno di voi potrebbe forse soggiungere: «Ma, o Socrate, qual è la tua attività? Donde son nate queste calunnie su di te? Ecco dunque: se tu non facessi proprio nulla di più straordinario degli altri, non sarebbe nata questa gran fama e diceria, se non avessi fatto qualcosa d’alternativo rispetto ai più. [2od] Dicci quindi che cos’è, affinché noi non improvvisiamo per quel che ti riguarda». Mi sembra che colui che dice queste cose qui le dica giuste ed io proverò a indicarvi che cosa ha prodotto questa nomea e questa calunnia su di me. Ascoltate dunque. E forse a qualcuno di voi sembrerò scherzare; sappiate bene, comunque, che vi dirò tutta la verità. Io, ecco, o uomini di Atene, ho avuto questa nomea per null’altro se non per una qualche sapienza. Qual è dunque questa sapienza? Essa è forse sapienza umana: in realtà, ecco, rischio di essere sapiente in questa; forse invece coloro di cui testé [20e] parlavo potrebbero essere sapienti d’una qualche sapienza maggiore di quella conforme all’uomo, o non ho alcunché da argomentare: ecco dunque, io non ne ho scienza, e chiunque lo afferma mente ed argomenta la calunnia obiettatami. E, o cittadini Ateniesi, non rumoreggiate contro di me, neppure se sembrerò dirvi qualche enormità: ecco, non proclamerò mio il detto che dirò (1), ma lo riferirò al dicitore degno del vostro rispetto. Ecco, della mia sapienza, se poi è una qualche sapienza e quale, vi procurerò come testimone il dio di Delfi (2). Ecco, conoscete di sicuro Cherefonte. Egli [21a] era mio compare sin da giovane e per voi un compagno nel partito popolare e fu esule con voi nell’esilio e con voi rientrò. E sapete dunque che uomo era Cherefonte, com’era gagliardo in qualsiasi obiettivo verso cui s’orientasse. E dunque, recatosi pure a Delfi una volta, osò interrogare l’oracolo su questo ‒ e, come dico, non rumoreggiate, o uomini ‒: chiese, ecco dunque, se qualcuno fosse più sapiente di me. Quindi la Pizia rispose che nessuno era più sapiente. E su questo suo fratello che è qui testimonierà a voi, poiché lui è morto.

[21b] Ispezionate dunque per quali motivi parlo di questo: intendo, ecco, spiegarvi da dove è nata la calunnia su di me. Ecco, udito questo, io riflettevo in ’sto modo: «Che cosa mai vuol dire il dio, che cosa mai dice enigmaticamente? Io, ecco dunque, son consapevole, su me stesso, di non essere sapiente né molto né poco; quindi, che cosa mai vuol dire affermando che io sono il più sapiente? In effetti non mente: ecco, non gli è lecito». E per molto tempo fui in impasse su che cosa mai vuol dire; successivamente, assai a fatica, mi volsi a ricercarlo in qualche modo così. Andai da uno di quelli che si opina siano sapienti, sicché in questa maniera, [21c] se mai altrimenti, avrei confutato il vaticinio e mostrato ciò all’oracolo: «Questo qui è più sapiente di me, tu invece hai affermato che ero io». Quindi, ispezionavo costui ‒ ecco, non c’è alcun bisogno che dica il nome, era comunque uno dei politici, ispezionando il quale io provai questa impressione, o cittadini Ateniesi ‒ e, dialogando con lui, mi sembrò che quest’uomo sembrasse essere sapiente a molti altri uomini e soprattutto a sé stesso, mentre non lo era, e successivamente provai ad indicargli che credeva di essere [21d] sapiente, mentre non lo era. D’allora in poi quindi fui odiato da costui e da molti dei presenti; dunque, andandomene, ragionavo tra me e me di ciò: io sono più sapiente di quest’uomo: si rischia, ecco, che nessuno di noi due sappia nulla di bello e buono, ma, mentre costui crede di sapere qualcosa pur non sapendo, io, siccome non so, neppure lo credo: è verosimile quindi che sia più sapiente di costui in questo qualcosina, perché ciò che non so nemmeno credo di sapere. In seguito sono andato da un altro, uno di coloro che sembravano essere più sapienti di lui e mi sembrò che le cose fossero identiche; [21e] e d’allora in poi fui odiato anche da lui e da molti altri.

Note

(1) Citazione da Euripide (Melanippe saggia, fr. 484 Nauck), volta a enfatizzare la non paternità socratica dell’oracolo dato da Apollo.

(2) Apollo, che a Delfi dava responsi mediante la sacerdotessa detta Pizia.

 

Brano seguente: Platone, Apologia di Socrate (4)

 

 


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