Melisso, Sulla natura o sull’essente (6)
Melisso, Sulla natura o sull’essente (6)
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[Aristoteles] De Mel., c. 1, 974 a 14 ( DK 30 A 5; R. A 5 )
(5) aidion de on apeiron te kai homoion pantē «akinēton» einai to hen: ou gar an kinēthēnai mē eis ti hupokhōrēsan. hupokhōrēsai de anankēn einai ētoi eis «plēres» ion ē eis «kenon»; toutōn de to men ouk an dexasthai, to de ouk einai ouden. (6) toiouton de on to hen «anōdunon» te kai «analgēton hugies» te kai «anoson» einai oute «metakosmoumenon» thesei, oute «heteroioumenon» eidei, oute «mignumenon» allōi: kata panta gar tauta polla te to hen gignesthai kai to mē on teknousthai kai to on phtheiresthai anankazesthai; tauta de adunaton einai. (7) kai gar ei tōi memikhthai to hen ek pleionōn legoito, kai eiē polla te kai kinoumena eis allēla ta pragmata, kai hē mixis ē hōs en heni sunthesis eiē tōn pleionōn ē tēi epallaxei hoion epiprosthēsis gignoito tōn mikhthentōn, ekeinōs men an diadēla khōris onta einai ta mikhthenta, epiprosthēseōs d’ ousēs en tēi tripsei gignesthai an hekasta phanera, aphairoumenōn tōn prōtōn tōn hup’ allēla tethentōn mikhthentōn; hōn oudeteron sumbainein. = (5) Dunque, essendo eterno, illimitato e totalmente uguale, l’uno è «immobile»: infatti, non può muoversi se non spostandosi verso qualcosa. Ma è necessario che si sposti andando o verso il «pieno» o verso il «vuoto»; tuttavia il primo non può accogliere, il secondo non è nulla. (6) Dunque, essendo tale, l’uno è «senza dolore» e «senza sofferenza», «sano» e «senza malattia», non sottoposto né a «riordinamento» di posizione né ad «alterazione» di specie né a «mescolanza» con altro: infatti, con tutto questo è necessario che l’uno divenga molti, che il non essente nasca e che l’essente si distrugga, ma tutto questo è impossibile. (7) E infatti, se col mescolarsi s’intendesse l’uno costituito da più cose, e se i molti fossero e queste cose si muovessero le une verso le altre, e se la mistione o fosse come una composizione di più cose in uno o si generasse quale sovrapposizione per stratificazione di quelle mescolate, bene: in quel primo caso chiaramente le mescolate sarebbero enti separati; invece, essendoci sovrapposizione, nello sfregamento ciascuna cosa diverrebbe manifesta una volta tolte le prime delle mescolate sovrapposte l’una sull’altra, ma nessuna di queste alternative è cogente.
Plato, Theaetetus 180 d, 181 a, 183 e ( R. A 6a, A 7a )
Per poco però non mi scordavo, Teodoro, che anche altri professarono il contrario di questo, che «immobile risulta essere il nome per il tutto», e quant’altro i Melissi e i Parmenidi, contrapponendosi a tutti costoro, sostengono: che tutto è uno ed è stabile in se stesso non avendo spazio in cui muoversi [hen te panta esti kai estēken auto en hautōi ouk ekhon khōran en hēi kineitai]…
Se invece gli stabilizzatori dell’intero sembreranno ragionare con argomenti più veritieri [hoi tou holou stasiōtai alēthestera legein dokōsi], ci rifugeremo presso di loro fuggendo da quelli che muovono gl’immutabili [ta akinēta kinountōn]…
Melisso e gli altri… dicono il tutto uno, statico [hen hestos legousi to pan].
Sextus Empiricus, Adversus mathematicos, X, 46 ( R. 6a )
Argomentarono che non c’è ‹movimento› i seguaci di Parmenide e Melisso, che Aristotele ha chiamato «stabilizzatori della natura e afisici» [stasiōtas te tēs phuseōs kai aphusikous], ‘stabilizzatori’ da ‘staticità’ [apo tēs staseōs] e ‘afisici’ perché la phusis è principio di movimento, che tolsero dicendo che niente si muove [arkhē kinēseōs hē phusis, hēn aneilon phamenoi mēden kineisthai].
Arist., Phys., Δ 6, 213 b 12 ( DK A 8; R. A 8 )
Melisso, quindi, mostra che il tutto è immobile, ecco perché: se si muovesse, di necessità ci sarebbe – dice – del vuoto, però il vuoto non è tra gli essenti [deiknousin hoti to pan akinēton ek toutōn: ei gar kinēsetai, anankē einai, phēsi, kenon, to de kenon ou tōn ontōn].
Arist., De generatione et corruptione, A 8, 325 a 2 ( DK A 8; R. A 8 )
eniois gar tōn arkhaiōn to on edoxe ex anankēs hen einai kai akinēton: to men gar kenon ouk on, kinēthēnai d’ ouk an dunasthai mē ontos kenou kekhōrismenou. oud’ au polla einai mē ontos tou deirgontos. touto d’ ouden diapherein, ei tis oietai mē sunekhes einai to pan all’ haptesthai diēirēmenon, tou phanai polla kai mē hen einai kai kenon. ei men gar pantēi diaireton, outhen einai hen, hōste oude polla, alla kenon to holon; ei de tēi men, tēi de mē, peplasmenōi tini tout’ eoikenai: mekhri posou gar kai dia ti to men houtōs ekhei tou holou kai plēres esti, to de diēirēmenon? eti d’ homoiōs anankaion mē einai kinēsin. ek men oun toutōn tōn logōn huperbantes tēn aisthēsin kai paridontes autēn hōs tōi logōi deon akolouthein, hen kai akinēton to pan einai phasi kai apeiron enioi: to gar peras perainein an pros to kenon. hoi men oun houtōs kai dia tautas tas aitias apephēnanto peri tēs alētheias, eti de epi men tōn logōn dokei tauta sumbainein, epi de tōn pragmatōn maniai paraplēsion einai to doxazein houtōs. = Alcuni degli antichi opinarono la dottrina che l’essente di necessità fosse unico ed immobile: questo, infatti, non essendo vuoto, non potrebbe giammai muoversi, non essendoci vuoto separato. Neanche i molti sono, non essendoci quel che disserri. Dunque, se si crede che il tutto non sia continuo ma sia atto a essere diviso, questo non differisce per nulla dal dire che è molteplice e non unico e vuoto. Se, infatti, fosse totalmente divisibile, nulla sarebbe uno, e così neppure molti, ma l’intero sarebbe vuoto; se si crede che, invece, lo sia in parte sì e in parte no, è evidente che così si fantastica: fino a quanto, infatti, e perché una parte dell’intero sta così ed è piena e l’altra suddivisa? E poi è similmente necessario che non ci sia movimento. Quindi, a partire da questi argomenti, superando la sensazione ed avendola invisa siccome si deve esser accoliti del logico, dicono che il tutto è unico e immobile e, alcuni, che è illimitato: infatti, il limite si presenterebbe come limite col vuoto. Alcuni, quindi, professarono questo, e per queste ragioni, intorno alla verità; eppure, benché sulla base degli argomenti consegua questa dottrina, sulla base dei fatti l’aver una dottrina così è pressoché pazzia.
Eudemus, apud Simpl., Phys., 111, 13 ( W. 42, p. 28; R. 8a )
akinēton de dē pōs? ē hoti plēres. plēres de hoti ouk estin apeiron kenou metekhon. = E come è immobile, dunque, se non perché è pieno? Però è pieno perché non c’è illimitato partecipante del vuoto.
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