Melisso, Sulla natura o sull’essente (11)
Melisso, Sulla natura o sull’essente (11)
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[Arist.] De Melisso, C. 2, 975 b 19 (DK 30 A 5; R. A 5)
(1) Ma non va forse lasciata da parte la questione se le cose che argomenta siano possibili o impossibili [ara, ei men dunata estin ē adunata ha legei, eateon]? Dunque, è sufficiente esaminare questo: se esse conseguano dalle assunzioni che fa o se nulla vieti che si abbia anche altro: infatti, questo potrebbe essere qualcosa d’alternativo a quello [to de poteron sumperainetai auta ex hōn lambanei, ē ouden kōluei kai allōs ekhein, ikanon skepsasthai: heteron gar an ti tout’ isōs ekeinou eiē].
(2) E, posto per primo ciò che assume per primo – niente si genererebbe mai dal non essente –, allora è necessario che tutti insieme gli enti siano «ingenerati», o nulla vieta che nascano gl’uni dagl’altri [prōtou tethentos, ho prōton lambanein, mēden genesthai an ek mē ontos, ara anankē «agenēta» hapanta einai, ē ouden kōluei gegonenai hetera ex heterōn] e che questo vada all’infinito [touto eis apeiron ienai]? (3) O anche che ritornino circolarmente [anakamptein kuklōi], di modo che l’uno nasca dall’altro, e così qualcosa sia sempre [to heteron ek tou heterou gegonenai, aei te houtōs ontos tinos] e siano generati singolarmente l’uno dall’altro infinite volte [apeirakis hekaston gegenēmenōn ex allēlōn]? (4) Sicché nulla vieterebbe che l’insieme di tutti gli enti nasca, fermo restando che niente si genererebbe mai dal non essente [ouden an kōluoi to hapanta gegonenai, keimenou tou mēden genesthai an ek mē ontos] e, essendo infiniti, nulla vieta che si predichino di essi i nomi che, secondo lui, seguono all’unico [apeira onta pros ekeinon prosagoreusai ouden kōluei tōn tōi heni hepomenōn onomatōn]. Anch’egli, infatti, predica dell’infinito l’esser atto [tōi apeirōi prosaptei] ad essere [einai] ed a esser detto [legesthai] l’insieme di tutti gli enti [hapanta]. E nulla vieta che, pur non essendo infiniti, la loro generazione sia circolare [kai mē apeirōn ontōn, kuklōi autōn einai tēn genesin]. (5) E poi, se tutti gli enti nel loro insieme si generano e nulla è [eti ei hapanta gignetai, esti de ouden], come alcuni argomentano, come potrebbero essere «eterni» [legousi, pōs an «aidia» eiē]? Ma, ecco, dell’essere qualcosa si predica l’essere ed il soggiacere [tou men einai ti hōs ontos kai keimenou dialegetai]. Se, infatti, afferma, non si è generato ma è, allora dovrebb’essere eterno siccome l’essere deve appartenere alle cose [mē egeneto, estin de, aidion an eiē, hōs deon huparkhein to einai tois pragmasin]. (6) E poi, se anche assolutamente non è ammissibile né che il non essente si generi [hoti malista mēte to mē on endekhetai genesthai] né che l’essente s’abolisca [apolesthai], ugualmente che cosa vieta che alcune di esse siano generate ed altre eterne [homōs ti kōluei ta men genomena autōn einai, ta d’ aidia], come anche Empedecle argomenta [legei]? Infatti egli, pur essendo d’accordo con questi argomenti, cioè sul fatto che
dacché è inconcepibile dal non ente
generarsi, e che l’ente s’abolisca
controfinale è e inefficace,
ecco sempre sarà laddove sempre
lo si fissi [DK 31 B 12],
tuttavia [homōs] afferma che, degli essenti, gli uni [tōn ontōn ta men] sono eterni (fuoco, acqua, terra ed aria), gli altri, invece, si generano e nascono da questi [ta d’ alla gignesthai te kai gegonenai ek toutōn]. (7) Infatti, così crede, non c’è nessuna generazione alternativa per gli essenti [oudemia gar hetera, hōs oietai, genesis esti tois ousin],
ma solo mescolanza ed alternanza
dei mescolati v’è; ma tra gli uomini
viene denominata creazione [DK 31 B 8, vv. 3-4].
(8) Poi argomenta che per gli eterni e per l’essente non avviene mai la generazione prima [tēn de genesin prōtēn ouk an tois aidiois kai tōi onti gignesthai legei] poiché credeva che questo fosse proprio impossibile. Dice, infatti, come
aumenterà qualcosa questo tutto
e da dove venendo? [DK 31 B 17, v. 32]
Afferma invece che, mescolandosi e componendosi il fuoco e gli elementi assieme al fuoco, i molti si generano, mentre si distruggono daccapo distaccandosi e discriminandosi quelli [alla misgomenōn te kai suntithemenōn puros kai tōn meta puros gignesthai ta polla, diallattomenōn te kai diakrinomenōn phtheiresthai palin] e che allora gli enti sono molti per la mescolanza e la discriminazione, ma per natura sono solo quattro, eccetto le cause, o uno [einai tēi men mixei polla pote kai tēi diakrisei, tēi de phusei tettara aneu tōn aitiōn ē hen]. (9) Oppure, se anche fossero senz’altro infiniti questi elementi dalla cui composizione deriva la generazione e dalla cui discriminazione deriva la distruzione [ē ei kai apeira euthus tauta eiē, ex hōn suntithemenōn gignetai, diakrinomenōn de phtheiretai], come alcuni affermano dicesse anche Anassagora argomentando che i generati si generano da essenti eterni ed infiniti, anche così non sarebbero tutti eterni, ma ce ne sarebbero anche di generati e si genererebbero da essenti e si distruggerebbero in alcune altre essenze [phasi tines legein ex aei ontōn kai apeirōn ta gignomena gignesthai, kan houtōs ouk an eiē aidia panta, alla kai gignomena atta kai genomena t’ ex ontōn kai phtheiromena eis ousias tinas allas]. (10) E poi nulla vieta che una qualche forma unica che è il tutto [mian tina ousan to pan morphēn], come argomentano anche Anassimandro ed Anassimene, l’uno affermando che il tutto è acqua [hudōr einai phamenos to pan] e l’altro, Anassimene, che è aria, e quanti altri hanno stimato che il tutto sia unico in questo modo, ordunque nulla vieta che questo intero, e per le figure e per la grandezza e per la piccolezza che genera nel divenire scarso o fitto, effettui i molti ed infiniti enti che sono e che si generano [houtōs einai to pan hen ēxiōkasin, touto ēdē skhēmasi te kai plēthei kai oligotēti, kai tōi manon ē puknon gignesthai, polla kai apeira onta te kai gignomena apergazesthai, to holon]. (11) Anche Democrito afferma che l’acqua e l’aria e ciascuno dei molti, pur essendo lo stesso, differiscono per forma [hekaston te tōn pollōn, tauto on, rhuthmōi diapherei]. Che cosa, dunque, vieta che i molti si generino e s’aboliscano così, cioè col trasmutarsi dell’unico dall’essente sempre verso l’essente mediante le differenze dette e senza che l’intero divenga né maggiore né minore [ti dē kōluei kai houtōs ta polla gignesthai te kai apollusthai, ex ontos aei eis on metaballontos tais eirēmenais diaphorais tou henos, kai ouden oute pleonos oute elattonos gignomenou tou holou]? (12) E poi che cosa vieta che in qualche momento i corpi si generino da altri e si dissolvano in corpi, cosicché, sempre risolvendosi secondo processi uguali, si generino e s’aboliscano daccapo [pote men ex allōn ta sōmata gignesthai kai dialuesthai eis sōmata, houtōs d’ aei analoumena kat’ isa gignesthai te kai apollusthai palin]?
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