Temi e protagonisti della filosofia

Introduzione minima a Socrate

Introduzione minima a Socrate

Nov 22

 

Fonti su Socrate

Socrate non scrisse nulla. Le principali fonti di seconda mano e discordanti (questione socratica) sono:

  • Le Nuvole (423) e altre commedie di Aristofane: Socrate vi è sbeffeggiato come fisico-sofista ridicolmente eclettico e cialtrone, naturalizzatore della religione olimpica e corruttore di giovani, ai quali insegna come prevalere scorrettamente nelle dispute e nei processi rendendo più forte l’argomento più debole; nonostante la poco obiettiva ostilità dell’autore ed il contesto comico, resta una testimonianza importante sugli interessi giovanili di Socrate, inevitabilmente influenzati dalle idee in circolazione mentre il suo pensiero non era ancora formato;
  • i dialoghi di Platone, allievo del vecchio Socrate: Socrate ne è quasi sempre protagonista e contengono sviluppi teoretici della sua filosofia in tutte le direzioni (idealizzazione del maestro?);
  • le opere socratiche dell’avventuriero e poligrafo Senofonte, allievo superficiale di Socrate, aristocratico conservatore non portato per la filosofia: Socrate dispensa saggezza pratica (banalizzazione?);
  • passi di Aristotele, il quale persegue l’accuratezza storica: Socrate cerca gli universali in etica ma non ne fa Idee metafisiche come Platone (criterio di distinzione tra ciò che è di Socrate e ciò che è di Platone nei dialoghi di quest’ultimo);
  • le scarse notizie sui sokratikoi logoi e sui socratici non platonici, che divergono nello sviluppare, più o meno fedelmente, alcuni spunti a scapito di altri, sino a costituire “scuole” con dottrine diversificate, a volte incompatibili; tra loro spiccano Antistene, propugnatore dell’autodominio e dell’autosufficienza (il suo pensiero fu portato avanti dai cinici), Aristippo, identificatore del bene col piacere (fondatore della scuola cirenaica), Euclide, grande logico e dialettico (animatore del circolo megarico).

L’etica di Socrate

Secondo Socrate l’uomo è felice, soddisfatto, realizzando come fine il suo bene, la sua perfezione, così da salvare la propria vita: prima di occuparsi del bene dei fenomeni esterni studiando la scienza naturale (come facevano i fisici) e del bene della città avendo successo come politici che convincono tramite tecniche retoriche (come facevano i sofisti), bisogna essere uomini buoni, eccellenti. Socrate dà quindi priorità all’etica (sapienza umana) rispetto alla fisica (sapienza divina) e alla retorica.

La felicità, cioè il bene, dell’uomo consiste non nella transitorietà dell’avere beni esteriori e del piacere del corpo (non fine, ma mezzo per realizzare il bene), bensì nella stabilità e libertà dell’esser buoni interiormente: poiché l’uomo è la sua interiorità, la sua anima (che forse è immortale), il bene dell’uomo è il bene della sua anima. Ma per perfezionare, rendere buona, la propria anima è necessario prendersi cura di se stessi, conoscere se stessi (prescrizione di Apollo a Delfi).

Il bene, la salute, dell’anima, quindi dell’uomo, è la virtù (aretē), intesa, alla greca, nel senso ampio di eccellenza, messa in opera perfettamente riuscita di ciò che si è; il suo male, la sua malattia, è dunque il vizio, inteso come fallimento, dolorosa imperfezione. In generale, la virtù ha due facce: una più teorica, la scienza, ed una più pratica, la giustizia. Poiché essere giusti significa avere un’anima in salute, quindi felice, ed essere ingiusti averne una di malata, quindi infelice, non c’è contrasto tra il proprio utile ed il bene (giustizia), cosicché è meglio (più utile) subire ingiustizia che compierla: chi subisce ingiustizia può non esserne affetto nella sua essenza, nella sua anima, se è virtuoso, così da essere interiormente felice nonostante il danno esteriore, mentre chi è ingiusto è ammorbato dal vizio, è cioè imperfetto, non realizzato, quindi infelice. Tutte le virtù, e la stessa giustizia, sono riconducibili alla virtù somma, la scienza, e tutti i vizi all’ignoranza: la conoscenza del bene, il sapere per es. che cos’è una virtù come la generosità, non è solo necessaria ma anche sufficiente per agire bene (virtuosamente), per es. con generosità. Se la felicità consiste nell’agire bene, e l’agire bene consiste nel conoscere il bene, nessuno fa il male (è vizioso) volontariamente (scientemente), perseguendo così la propria infelicità, ma lo si fa involontariamente, per ignoranza del bene. Avere scienza, conoscere una virtù così da praticarla, significa darne una definizione rispondendo alla domanda “che cos’è?”(per es. “che cos’è la generosità?”). Nel predicato della risposta non si deve indicare un’istanza particolare della virtù in questione (per es. “generosità è offrire banchetti”), perché in tal modo in altre circostanze in cui andrebbe esercitata la stessa virtù non si saprebbe come agire, dunque non si sarebbe buoni e felici. Bisogna invece dare una risposta valida in generale, indicare quell’unico concetto universale (pensato: conoscenza razionale) presente in tutte le molteplici ma simili azioni particolari (percepite: conoscenza sensibile), così da essere sempre buoni e felici.

La dialettica di Socrate

La ricerca socratica dell’universale in etica avviene in un contesto di dialogo: Socrate domanda che cos’è una virtù a un interlocutore che risponda.

Se il dialogo inizia, l’interlocutore dà una definizione; si prosegue allora con un esame che saggi se è scientifica, cioè universale. Socrate infatti prova subito insoddisfazione per la risposta, spesso sotto l’influsso del daimonion (voce interiore intermedia tra il divino e l’umano che spinge questo ad elevarsi verso quello; non comunica a Socrate dottrine positive né gli prescrive azioni buone, ma lo spinge a demolire dottrine infondate e gli vieta azioni sbagliate). Per lo più l’interlocutore presume che la sua risposta sia scientifica, cioè presume di sapere (di esercitare la virtù somma della scienza) e Socrate sembra concederglielo con arguta ironia, lusingandolo ma anche stimolandolo a riflettere: all’inizio sembra che si prosegua solo per confermare il potere conoscitivo della definizione data, ma poi emergono il sospetto e la certezza che il sapere dell’interlocutore non è fondato. L’esame di Socrate si configura tipicamente come elenkhos (confutazione): la scienza dell’interlocutore non è fondata perché nella sua definizione di una virtù il predicato non veicola il concetto universale di essa ma sue esemplificazioni particolari e, assumendo la definizione come premessa, s’inferisce una contraddizione (per es. assumendo che generosità sia offrire banchetti, si fa notare che possono parteciparvi degli ingordi, cosicché offrendo loro un banchetto si è contemporaneamente virtuosi in quanto generosi e non virtuosi, cioè viziosi, in quanto si cagiona loro del male).

Alla fine del dialogo, Socrate non è in grado di definire scientificamente la virtù in questione: fin dall’inizio egli sapeva di non sapere, ed il dialogo ha introdotto tale consapevolezza anche nell’interlocutore, che invece presumeva di sapere. Se Socrate non sa nulla, qual è il senso dell’oracolo delfico di Apollo “Socrate è il più sapiente di tutti gli uomini”? Questo: mentre gli altri sono ignoranti ma presumono di sapere qualcosa o tutto, Socrate li supera nel sapere di non sapere, cosicché ha la missione divina di mostrare agli illusi la loro radicale ignoranza, il che è un doloroso ma necessario presupposto terapeutico per poter poi renderli veramente buoni, quindi felici.

Il non sapere consiste nel non avere non già percezioni del od opinioni sul particolare (di cui tutti gli uomini sono colmi), ma scienza dell’universale: secondo Socrate la scienza e la filosofia non sono mai cominciate veramente. Esse possono iniziare grazie alla sua tecnica maieutica: come le levatrici, sterili, aiutano corpi fecondi a partorire corpi, così Socrate, che non sa nulla, dialogando aiuta le feconde anime degli interlocutori a partorire gli universali della scienza, cosicché possano essere felici in quanto virtuosi (sapienti). La scienza allora non deriva dall’esteriore apprendimento nozionistico trasmesso da chi presume di sapere, ma dall’inesauribile sforzo, comune ai dialoganti, di purificazione dialettica del particolare nell’universale presente in potenza nell’anima.

Prosecuzione dell’indagine socratica in Platone

Platone, pur scrivendo a differenza di Socrate, propugna ancora la preminenza dell’oralità sulla scrittura (è autore di dialoghi tendenti al realismo, perlomeno nella contestualizzazione storico-biografica) e dell’apertura alla viva ridiscussione dialettica degli argomenti sulla chiusura in trattazioni definitive, consegnabili alla morta scrittura.

I primi dialoghi di Platone sono più vicini a Socrate sia per il contenuto (si concentrano sulle virtù morali) sia per il metodo (non vi si attinge la scienza); nei successivi invece ricompaiano i problemi ontologici dei presocratici e si argomentano soluzioni. Ciò non significa che Platone passi dalla ricerca aporetica al dogmatismo, ma che, occupandosi di altre strutture e potenziando la dialettica, affina strumenti concettuali adeguati sia ad esse sia agli alti standard socratici di scientificità. In particolare la dialettica, da metodo argomentativo del dialogo, è sviluppata da Platone in metodo dell’ontologia in quanto non investe solo gli interlocutori che argomentano sulla realtà, ma la realtà stessa: il movimento del pensiero umano, tendendo alla verità, rispecchia imperfettamente la rete di relazioni tra le Idee (il che cos’è secondo Platone), struttura della realtà. Comunque sino all’ultimo (Leggi) la metafisica dialettica di Platone non si riduce a indagine intellettuale fine a se stessa, ma cerca fondamenta solide nella natura delle cose su cui istituire una società politica giusta e basare una condotta individuale virtuosa: il bene dell’uomo dipende dal bene della società politica, e il bene della società politica dipende dal Bene della realtà in generale (perciò sarebbe bene che governassero i filosofi, cioè coloro che conoscono l’Idea del Bene). Insomma Platone vuole integrare nell’etica e nella dialettica di Socrate ciò che questi non aveva trovato nelle dottrine dei presocratici e dei sofisti.

 

 


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