Frammenti morali di Democrito (10)
Frammenti morali di Democrito (10)
Ott 19[ad#Ret Big]
Bisogna difendere secondo la (propria) capacità coloro che subiscono ingiustizia [adikoumenoisi timōrein kata dynamin] e non chiamarsene fuori [parhienai]; infatti comportarsi in tal modo [to men… toiouton] è cosa giusta e buona, non comportarsi in tal modo invece [to de mē toiouton] è ingiusto e cattivo.
E coloro che compiono atti meritevoli di esilio o carcere [hoi phygēs axia erdousin ē desmōn], o meritano una pena [thōiēs], son da condannarsi [katapsēphisteon] e non da assolversi [apolyein]; chi invece li assolvesse contro la legge perseguendo un vantaggio od un piacere [kerdei horizōn ē hēdonēi], sarebbe ingiusto e necessariamente ne avrebbe rimorso [hoi touto enkardion anankē einai]
Partecipa [metechei] della massima parte [moiran] della giustizia e della virtù chi tributa [ho… tamnōn] onori meritati [timas axias].
Non bisogna vergognarsi di qualcosa più davanti agli uomini che davanti a se stessi né operare più apertamente qualcosa di male se non verrà a saperlo nessuno anziché tutti gli uomini [mēden ti mallon tous anthrōpous aideisthai heōutou mēde ti mallon exergazesthai kakon ei mellei mēdeis eidēsein ē hoi pantes anthrōpoi], ma vergognarsi soprattutto davanti a sé e sottomettere la propria anima a questa legge [touton nomon tēi psychēi kathestanai] per non fare [poiein] niente di disacconcio [anepitēdeion].
Gli uomini sono più memori [memneatai mallon] di coloro che hanno errato [tōn hēmartēmenōn] che di coloro che hanno ben fatto [tōn eu pepoiēmenōn] e infatti è giusto così: come non bisogna lodare chi restituisce i depositi [tas parakatathēkas apodidonta], ma diffamare e punire [kakōs akouein kai paschein] chi non li restituisce, così va fatto anche nei confronti di chi governa [ton archonta]. Infatti lo si è eletto [epi toutōi hēirethē] non perché facesse male, ma perché facesse bene [hōs kakōs poiēsōn all’hōs eu].
Non c’è nessun mezzo, secondo le disposizioni costituzionali ora vigenti [mēchanē tōi nyn kathestōti rythmōi], cha faccia sì che non si commetta ingiustizia contro i magistrati [tous archontas], anche qualora siano del tutto validi [pany agathoi] ‒ infatti una tal persona non sembra nient’altro che l’aquila tra i serpenti ‒, ma allora si deve riordinarle [dei de kōs outō kai tauta kosmēthēnai], di modo che chi non fa niente d’ingiusto, quand’anche faccia esaustivamente accertamenti su [pany etazēi] coloro che commettono ingiustizia, non sia loro sottoposto [hyp’ekeinous genēsetai], ma o un qualche istituto [thesmos] o qualcos’altro tuteli colui che fa le cose giuste [amynei tōi ta dikaia poieunti].
Per natura il comandare è proprio del migliore [physei to archein oikēion tōi kressoni].
La paura produce adulazione, ma non conferisce autorevolezza [phobos kolakeiēn men ergazetai eunoian de ouk echei].
L’audacia è principio d’azione, ma il caso è signore del compimento [tolma prēxios archē tychē de teleos kyriē].
Usa i domestici come parti della baracca (del corpo): ciascuno per qualcosa di specifico [oiketaisin hōs meresi tou skēneos chrō allōi pros allo].
Solo il rapporto sessuale risolve i conflitti amorosi [erōtikēn mempsin hē agapō mounē lyei].
Chi è fortunato nel genero ha trovato un figlio; chi è sfortunato invece ha perso anche la figlia [gambrou ho men epitychōn euren hyon ho de apotychōn apōlese kai thygatera].
La donna è molto più acuta [oxyterē] dell’uomo nella maldicenza [pros kakophradmosynē].
Per una donna ornamento è parlar poco [kosmos oligomythiē], ma è bello anche il minimalismo dell’ornamento [kalon de kai kosmou litotēs].