Temi e protagonisti della filosofia

Frammenti di Parmenide (1)

Frammenti di Parmenide (1)

Ago 02

 

 

H. Diels – W. Kranz, Die Fragmente der Vorsokratiker, Griechisch und Deutsch, Berlin 1951-1952, 28 B 1

1-30. Sextus Empiricus, Aduersus mathematicos, VII 111 ss.: Invece il suo discepolo Parmenide ignorò l’argomento dell’opinione [doxastou logou kategnō] – parlo, dunque, di quello avente assunzioni deboli [astheneis ekhontos hupolēpseis] –, mentre pose come criterio [hupetheto kritērion] quello scientifico [epistēmikon], cioè quello incrollabile [adiaptōton], distanziandosi [apostas] anche dall’affidamento alle sensazioni [tēs tōn aisthēseōn pisteōs]. Ecco quindi che, iniziando l’Intorno alla natura [Peri phuseōs] scrive in questo modo: «le cavalle… verace». – In questi versi, ecco, Parmenide afferma [phēsin] che quali «cavalle» lo «portano» gl’istinti [hormas] e gli appetiti [orexeis] irrazionali [alogous] dell’anima; che, dunque, per la [kata de tēn] «via molto faconda» del demone traversano la speculazione secondo il ragionamento filosofico [poreuesthai tēn kata ton philosophon logon theōrian], il quale ragionamento a mo’ di demone scortante lo avvia alla conoscenza di tutti gli enti nel loro insieme [propompou daimonos tropon epi tēn hapantōn hodēgei gnōsin]; che, dunque, quali «fanciulle» lo attivano [proagein] le sue sensazioni [aisthēseis], tra le quali allude enigmaticamente [ainittetati] alle uditive nel dire «due… cerchi», ossia quelli degli orecchi, mediante i quali riceviamo il suono, mentre ha chiamato le visive «Eliadi fanciulle» che lasciamo le «case di Notte» e spingono «verso la luce» per questo: senza luce non si genera il loro uso. Dunque si recano dalla «Giustizia» che è «molto punitiva» ed ha «chiavi alterne»: la ragione, avente le rappresentazioni catalettiche infallibili delle cose [dianoian asphaleis ekhousan tas tōn pragmatōn katalēpseis], la quale accogliendolo gli promette d’insegnargli queste due dottrine [duo tauta didaxai]: «sia l’intrepido cuore di Verità ben circolare», cioè l’irremovibile base [ametakinēton bēma] della scienza; l’altra invece «le opinioni dei mortali… verace», ossia che tutto quello che si situa nell’opinione [en doxēi keimenon] sarebbe incerto [abebaion ēn].*

28-32. Simplicius, In Aristotelis de caelo, 557, 20 ss.: Quegli uomini ponevano una duplice sostanza [dittēn hupostasin hupetithento]: quella dell’ontologicamente essente [ontōs ontos], l’intelligibile [noēton], e quella del diveniente [ginomenou], il sensibile [aisthētou], che non si degnavano di chiamare essente semplicemente [ēxioun kalein on haplōs], ma essente secondo l’opinione [dokoun on]. Perciò per quel che riguarda l’essente professano che v’è verità [peri to on alētheian einai phēsi], per quel che riguarda il diveniente, invece, opinione [doxan]. Dice, ecco appunto, Parmenide: «è necessario… percorrendole».

hippoi tai me pherousin, hoson t’ epi thumos hikanoi,
pempon, epei m’ es hodon bēsan poluphēmon agousai
daimonos, hē kata pant’ astē pherei eidota phōta;
tēi pheromēn: tēi gar me poluphrastoi pheron hippoi
harma titainousai, kourai d’ hodon hēgemoneuon.
Axōn d’ en khnoiēisin hiei suringos autēn
aithomenos (doiois gar epeigeto dinōtoisin
kuklois amphoterōthen), hote sperkhoiato pempein
Hēliades kourai, prolipousai dōmata Nuktos,
eis phaos, ōsamenai kratōn apo khersi kaluptras.
entha pulai Nuktos te kai Ēmatos eisi keleuthōn,
kai sphas huperthuron amphis ekhei kai lainos oudos:
autai d’ aitheriai plēntai megaloisi thuretrois;
tōn de Dikē polupoinos ekhei klēidas amoibous.
tēn de parphamenai kourai malakoisi logoisin
peisan epiphradeōs, hōs sphin balanōton okhēa
aptereōs ōseie puleōn apo; tai de thuretrōn
khasm’ akhanes poiēsan anaptamenai polukhalkous
axonas en surinxin amoibadon eilixasai
gomphois kai peronēisin arērote; tēi ra di‘ auteōn
ithus ekhon kourai kat’ amaxiton harma kai hippous.
kai me thea prophrōn hupedexato, kheira de kheiri
dexiterēn helen, hōde d’ epos phato kai me prosēuda:
ō kour’ athanatoisi sunaoros hēniokhoisin,
hippoi tai se pherousin hikanōn hēmeteron dō,
khair’, epei outi se Moira kakē proupempe neesthai
tēnd’ hodon (ē gar ap’ anthrōpōn ektos patou estin),
alla Themis te Dikē te. khreō de se panta puthesthai
ēmen Alētheiēs eukukleos atremes ētor
ēde brotōn doxas, tais ouk eni pistis alēthēs.
all’ empēs kai tauta mathēseai, hōs ta dokounta
khrēn dokimos’ einai dia pantos panta perōnta.

Le cavalle che mi portano sin a quanto l’animo basta
mi scortarono, poiché mi fecer venire alla via molto faconda, conducendo,
della demone, che per tutte le rocche porta l’uomo che sa;
lì ero portato: lì infatti mi portavano cavalle molto accorte
il carro tirando, mentre fanciulle la via mostravano.
L’asse, dunque, nei mozzi gettava stridore di zufolo
ardendo (infatti era premuto da due rotanti
cerchi da ambo i lati), allorché s’affrettavano a scortarmi
le Eliadi fanciulle, lasciate le case di Notte,
verso la luce, respingendo dalle teste colle mani i veli.
Là la porta dei sentieri della Notte e del Giorno è,
e un architrave ed un lapideo accesso la tengon nel lor ambito;
essa dunque, eterea, è riempita di grandi battenti;
di questi dunque Giustizia molto punitiva ha le chiavi alterne.
Costei dunque le fanciulle, affabulandola con molli parole,
persuasero accortamente – detto-fatto – a togliere loro al volo la stanga del chiavistello
dalla porta; questa dunque
creò, d’impeto in volo, un vasto iato dei battenti facendo
negli argani in senso inverso volgere i molto bronzei assi
con chiodi e borchie coartati; da lì attraverso essa
difilato guidarono le fanciulle per la via maestra carro e cavalle.
E me la dea propizia accolse, dunque colla mano la mano
destra prese, così dunque favellò voce e mi disse:
«O giovine, compagno d’immortali aurighi,
che colle cavalle che ti portano giungi alla nostra casa,
salve, poiché non una Moira avversa ti scortò a procedere
per questa via (questa infatti è all’esterno del sentiero battuto dagli uomini),
ma Legge e Giustizia. È necessario dunque che tu ogni cosa apprenda,
sia l’intrepido cuore di Verità ben circolare
sia le opinioni dei mortali, nelle quali non è certezza verace.
Ma in ogni caso anche questo imparerai, come le apparenze
bisognerebbe opinare che siano, in ogni senso tutte percorrendole.

 

* Sesto qui riporta un’interpretazione stoica (forse posidoniana) venata di platonismo (anima come carro alato) delle immagini del proemio.

 

Articolo seguente: Frammenti di Parmenide (2)

 

 


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