Frammenti contro il piacere attribuiti a Plutarco da Giovanni Stobeo
Frammenti contro il piacere attribuiti a Plutarco da Giovanni Stobeo
Giu 19[Stob. 3,6,49] Estratto dallo scritto di Plutarco Contro il piacere:
Il piacere getta nel languore i corpi, rammollendoli giorno per giorno con gli eccessi; l’assimilazione seriale di questi ultimi priva del tono, estenuando la vigoria di essi. Effetti: agevolazione delle malattie e agevolazione delle stanchezze, dunque una vecchiaia prematura nella giovinezza.
[Stob. 3,6,50] In questo stesso scritto:
Il piacere è una fiera che schiavizza, ma non è altresì selvaggia; se solo, ecco, fosse così! Se si battesse colle armi in vista, sarebbe colta in tempi serrati; d’altronde, per come stanno le cose, è ancora più odiosa per questa circostanza, giacché cela l’ostilità sotto la presentazione di un aspetto di cordialità; dunque è doppiamente esecranda: tanto per i mali coi quali danneggia quanto per le falsità colle quali inganna.
[Stob. 3,6,51] In questo stesso scritto:
Dunque, i piaceri legittimi non li chiamerei e neanche considererei più piaceri, tutt’altro: terapie. Quanti, d’altronde, procedono oltre queste, sono tutti manifestazioni di sfrenatezza imperversante, violenti verso ciò che riempiono e, affascinandoci con scaltrezze variopinte, latentemente c’ammalano; dunque, sarebbe meglio che la legge indirizzante le nostre vite fosse quella propria anche degli animali irrazionali: per questi, dopo l’ottemperamento dei desideri, sfuma qualunque appetito, alienato dall’appagamento degli obblighi verso i piaceri vitali.
[Stob. 3,6,52] In questo stesso scritto:
V’è forse qualcuno che offra lodi ai traditori? Tale è il piacere: tradisce le articolazioni della virtù. V’è forse qualcuno che lodi chi lo tormenta? Tale è il provare piacere: tormenta le articolazioni della temperanza. V’è forse qualcuno che lodi l’avidità? Ciascuno di questi due vizi è insoddisfacibile appieno. Perché ci dilettiamo di tale fiera, il cui fascino ci porta alla malasorte?
[Stob. 3,6,53] In questo stesso scritto:
Perché dunque non proferisci verbo quando tutti guardano, ma altresì vergognandoti di te stesso fuggi, affidando la sfrenatezza alla notte e all’oscurità, quando non vi son testimoni? Nessuno, ecco, preferisce il calar dell’oscurità per compiere atti meritori, vergognandosi che la luce li testimoni, tutt’altro: vorrebbe che il cosmo tutto assieme divenisse un sole presentante il compimento di questi atti generosi. Ogni singolo vizio, dunque, si guarda dal manifestarsi nudo, proponendo la scusa delle passioni. Dacché li abbiamo troncati, ispezioniamo i piaceri nella loro nudità: s’ubriacano sino all’anestesia, son trascinati in una vita riprovevole, s’addormentano nel compiere i lavori, non s’occupano di politica, non badano ai genitori, non rispettano le leggi.
La traduzione dei frammenti è stata condotta sul testo della seguente edizione:
Plutarch’s Moralia XV, Fragments, translated by F.H. Sandbach, Cambridge Mass.1969, 230-235.