Argomenti epicurei contro il timore della morte (6)
Argomenti epicurei contro il timore della morte (6)
Ott 26Articolo precedente: Argomenti epicurei contro il timore della morte (5)
Secondo argomento
Argomento per simmetria
1. Esposizione
Un secondo antidoto contro il timore della morte è il cosiddetto “argomento per simmetria”, forse già formulato da Epicuro ma reso celebre da uno dei suoi più noti seguaci, il poeta latino Tito Lucrezio Caro (circa 99-55 a.e.v.), che nell’opera Sulla natura delle cose argomenta così [3, 970-975]:
Pensa che prima di noi si è consumata una parte del tempo eterno, senza toccarci. È questo lo specchio che la Natura ci offre dopo la morte: il futuro. Vedi tu forse in quel vuoto niente di triste, un segno che ti spaventi? O non è quella una quiete più certa del sonno?
Esistono varie interpretazioni di questo argomento. Secondo una prima, Lucrezio inviterebbe a non temere la morte come evento (decesso) o come processo (morire), perché dopo la nostra morte non ci sarebbe alcunché da temere, come non vi è nulla di temibile prima della nascita. Inteso così, l’argomento sembra piuttosto debole, poiché sposta l’attenzione da ciò che si teme (la fine della vita o il suo progressivo affievolirsi) a ciò che lo seguirebbe.
Secondo un’altra lettura dei versi lucreziani, essi mirerebbero a rinforzare l’argomento “nessun soggetto di danno”, difendendolo dall’ultima obiezione che gli abbiamo mosso. In base a questa obiezione, detta grossolanamente, l’argomento di Epicuro non potrebbe liberare dalla paura della morte, intendendola come stato d’inesistenza, se è proprio l’inesistenza ciò che spaventa. Concentriamoci su questa interpretazione dell’argomento per simmetria, esplicitandone le premesse inespresse.
Domanda: Dobbiamo temere la morte?
Risposta di Lucrezio: Non dobbiamo.
Argomento:
- In generale, non dobbiamo temere ciò che è irrazionale temere. È irrazionale temere ciò che è simile per aspetti rilevanti a qualcosa che di fatto non temiamo. Pertanto, non dobbiamo temere ciò che è simile per aspetti rilevanti a qualcosa che di fatto non temiamo.
- La nostra esistenza si distende tra uno stato prenatale e uno stato postumo. Lo stato prenatale è uno stato d’inesistenza e lo stato postumo è uno stato d’inesistenza, che chiamiamo morte. Dunque entrambi gli stati sono stati d’inesistenza.
- Se due stati sono simili per aspetti rilevanti, allora autorizzano atteggiamenti simili. Essendo ambedue stati d’inesistenza, lo stato prenatale e quello postumo sono simili per aspetti rilevanti. Perciò i due stati autorizzano atteggiamenti simili.
- Dato che di fatto non temiamo lo stato d’inesistenza prenatale, e tale stato è simile per aspetti rilevanti allo stato d’inesistenza postumo, e stati simili per aspetti rilevanti autorizzano atteggiamenti simili, allora è irrazionale temere lo stato d’inesistenza postumo, la morte.
- In conclusione, se non dobbiamo temere ciò che è irrazionale temere, e temere la morte è irrazionale, allora non dobbiamo temere la morte.
Un punto di forza dell’argomento per simmetria consiste nello stabilire un parallelismo tra lo stato d’inesistenza prenatale e quello postumo, rintracciando forti somiglianze tra i due. A chiunque volesse alleviare il timore della condizione in cui non esisterà più, Lucrezio suggerisce di confrontarla con il periodo di tempo in cui non esisteva ancora. Se questa inesistenza non ci ha fatto soffrire, è irragionevole supporre che soffriremo a causa della nostra definitiva inesistenza.
In fin dei conti, non esistere non sembra così tremendo, perché prima di venire al mondo non siamo esistiti per un arco temporale lunghissimo, verso il quale non proviamo sentimenti di angoscia o paura. Poiché non troviamo nulla di preoccupante nell’inesistenza prenatale, il poeta epicureo ne conclude che non dovremmo turbarci nemmeno per quella dopo il decesso.
In questo modo, grazie al suo ragionamento, Lucrezio rafforzerebbe l’argomento “nessun soggetto di danno” del maestro. Come quest’ultimo, anche l’argomento per simmetria sembra plausibile. Cionondimeno, vi possiamo riscontrare alcuni punti deboli, che considereremo dal prossimo articolo.
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Credo che Lucrezio non abbia tenuto in considerazione una cosa. La morte non necessariamente fa paura per il suo “mistero” innato. La morte può fare estremamente più paura per il fatto che morte significa fine di tutto ciò che abbiamo costruito. Inteso come rapporti sociali e personali. Io sono io grazie alla mia coscienza (ossia la consapevolezza di sperimentare esperienze come me stesso) che potrebbe avere una natura a se stante e probabilmente essere immortale e tutto il costrutto mentale che crea le interrelazioni di amore con i genitori, amici, partner (come anche odio e dolore ma… separarci da quelle anzi potrebbe essere considerato positivo). Vogliamo immaginare che dopo la morte la coscienza segua in eterno, però tutto il costrutto sparisce. Io come Giorgio, con i miei meravigliosi ricordi muoio… non esisterò più… Credo che la vera paura sia proprio la perdita di tutto ciò che abbiamo costruito spiritualmente con gli altri e non la morte in se stessa. I buddisti direbbero che l’attaccamento è una delle cause principali delle nostre sofferenze per cui se io non avessi attaccamento a qualsiasi cosa abbia costruito… non dovrei nemmeno temere la morte ma viviamo in una società che purtroppo ci indirizza verso la strada della sofferenza quotidianamente.
Giorgio,
nei limiti di quanto ne so, ritengo che tu abbia ragione: il tuo ragionamento è una delle possibili obiezioni avanzate all'”argomento per simmetria” di Lucrezio. Ad esempio, credo che lo stesso ragionamento o uno molto simile sia stato sostenuto anni fa da Thomas Nagel. Ne ho accennato brevemente anch’io in un articolo successivo, dove ho indicato che la presunta specularità tra stato prenatale d’inesistenza e stato postumo d’inesistenza è incrinata proprio dal riconoscimento che la morte ci sottrae qualcosa. (Sulla natura esatta di questo “qualcosa” e sul perché esso sia così importante, si potrebbe discutere a lungo e credo che, di fatto, se ne stia discutendo in ambito filosofico.)
Pertanto, accetto volentieri con te che le nostre preoccupazioni per la morte possano sorgere dalla previsione di questa sottrazione, che forse non risulterebbe altrettanto dolorosa se non provassimo attaccamento verso ciò che ci è sottratto. Ora, la possibile “via d’uscita” suggerita dal buddismo potrebbe (sottolineo ‘potrebbe’) trovare una corrispondenza nell’invito implicito, che mi sembra sotteso all’argomento lucreziano, a guardare noi stessi e le nostre vite da un punto di vista quanto più oggettivo possibile, svincolato dalla temporalità nella quale siamo immersi. Abituandoci con l’esercizio ad assumere questo punto di vista – ammesso che sia possibile – forse potremmo realizzare una sorta di distacco quasi-buddista da ciò di cui la morte ci priva.
Ma non mi dilungo oltre su queste ipotesi, perché coinvolgono temi meritevoli di approfondimenti maggiori e migliori di quelli che sarei in grado di sviluppare.
Grazie per il tuo commento!
“guardare noi stessi e le nostre vite da un punto di vista quanto più oggettivo possibile, svincolato dalla temporalità nella quale siamo immersi”
La tua affermazione riflette un interessante punto di vista. In fin dei conti…per un ricercatore a 360 gradi…la morte, al di là delle sofferenze soggettive, potrebbe essere considerata un fatto positivo in quanto in grado di dare una risposta alla domanda che è antica quanto l’uomo: “cosa c’è oltre la porta della morte?”… E’ anche molto interessante il punto di vista del Biocentrismo sulla vita e sulla morte…(anch’esso un tema che non si potrebbe discutere con poche righe) Grazie a te Stefano