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Argomenti epicurei contro il timore della morte (5)

Argomenti epicurei contro il timore della morte (5)

Giu 01

Articolo precedente: Argomenti epicurei contro il timore della morte (4)

 

Primo argomento

Nessun soggetto di danno

 

2. Discussione

Abbiamo visto che l’argomento “nessun soggetto di danno” – risposta epicurea alla tesi del danno – pecca d’intellettualismo e, considerando la morte come stato, si dimostra inefficace qualora i nostri timori sorgano dall’anticipazione della morte come evento o come processo. Passiamo ora a un terzo elemento di debolezza, basato sul modo particolare in cui Epicuro considera lo stato di morte.

 

2.3. Morte come inesistenza

Oltre che fondato sulla netta distinzione tra vita (condizione di essere vivi) e morte (condizione di essere morti), l’argomento è costruito su una precisa premessa: l’equivalenza tra stato di morte e inesistenza. Mettendola in discussione, si produrrebbe un indebolimento a cascata dell’argomento.

Epicuro fonda tale premessa sulla propria teoria atomistica, che riprende in parte da Democrito di Abdera (460-370 a.e.v.) ed espone in compendio nella Lettera a Erodoto [1]. Secondo questa teoria, noi siamo aggregati datomi che la morte disgrega, eliminando così la condizione di possibilità per la nostra stessa esistenza e quindi, a fortiori, la possibilità di percepire, patire e subire danni [2]. In questo modo Epicuro, equiparando lo stato di morte alla completa e definitiva dissoluzione del composto atomico che ciascuno di noi è, assume che essere morti significhi non esistere più.

Accettando che l’argomento sia formalmente valido (come sembra), domandiamoci se esso sia anche convincente. Non si tratta di una domanda impertinente: per liberare i timorosi dalla paura della morte, Epicuro deve anzitutto convincerli, non semplicemente fornire loro un argomento corretto. Ora, in generale, l’efficacia di un argomento (la sua capacità di convincere) dipende anche dalle credenze e dalle inclinazioni delle persone cui è rivolto [3]. Ma poiché non esiste un unico modo d’intendere lo stato di morte, potremmo non trovare convincenti le conclusioni, perché le loro premesse esprimono – o si basano su – credenze che non condividiamo.

Nel nostro caso, l’argomento “nessun soggetto di danno” convince, a patto che l’interlocutore accetti quelle premesse atomistiche che lo sorreggono. Dovrebbe acconsentire che noi siamo null’altro che aggregati di atomi; concordare che una certa disposizione di atomi – e solo questa – sia la condizione di possibilità della nostra esistenza; convenire che la morte equivalga alla disintegrazione dell’appropriata composizione di atomi che ci costituiscono; ammettere che tale decomposizione comporti la cessazione irreversibile della nostra esistenza e, quindi, di ogni forma di sensazione e percezione, a qualunque grado d’intensità.

Se questo è vero, allora – per dirla con una battuta – l’argomento convince solo chi è già persuaso di molte assunzioni! ossia solo chi ha già acconsentito alla visione del mondo espressa dalla teoria atomistica. Una volta accettate queste linee teoriche generali, l’argomento “va da sé”. Epicuro stesso è consapevole che la comprensione del mondo naturale sia una condizione necessaria affinché il suo argomento funzioni: l’eliminazione dei turbamenti dipende dalla corretta applicazione dei principi della teoria atomistica, vale a dire dalla conoscenza delle cause dei fenomeni fisici [4].

Tuttavia, l’argomento esclude la possibilità che la morte non sia la fine di tutto, ma che la nostra esistenza continui in una qualche forma differente. Ciò che può accaderci in questa nuova forma d’esistenza potrebbe presentare aspetti che sarebbe perfettamente ragionevole temere: ad esempio, l’eventualità d’essere tormentati nella pece bollente da diavoletti dispettosi, o d’essere costretti a intonare noiosissime lodi a qualche divinità vanesia per il resto dell’eternità. Contro questo tipo d’ansie, legate alla prospettiva di una sopravvivenza indesiderabile, l’argomento epicureo sembra inefficace.

Ma c’è un’altra ragione per la quale largomento potrebbe non cogliere nel segno. In sostanza, Epicuro afferma che temere la morte è un atteggiamento irrazionale perché la morte è uno stato d’inesistenza (e dunque d’insensibilità). La tranquillità sarebbe ottenibile una volta conosciuta questa corretta natura della morte. Eppure, alcuni potrebbero obiettare che è proprio la prospettiva della loro inesistenza ciò che li turba. Sebbene essere qualcosa o qualcuno, con il suo carico di problemi, dolori e traversie, paia talvolta insopportabile, essere niente sembra ancora più tremendo. Dunque, appellarsi a un’esatta conoscenza della natura della morte serve a ben poco, se è proprio la morte così intesa ciò che spaventa.

Qualche discepolo epicureo sembra essersi accorto di questa difficoltà nell’argomento “nessun soggetto di danno” e ha tentato di formularvi una replica. La vedremo prossimamente, esaminando un secondo argomento contro la paura della morte.

 

Note

[1] Cfr. Lettera a Meneceo, 63-67. L’atomismo non è l’unica opzione teoretica che supporta l’equivalenza tra stato di morte e inesistenza, ma forse è la più netta.

[2] La connessione tra insensibilità e inesistenza è esplicitata, per esempio, nella Lettera a Meneceo, 124, e nella Massima Capitale 2.

[3] La distinzione tra validità ed efficacia di un argomento è affrontata, tra l’altro, nel volume L’argomentazione di A. Iacona.

[4] Cfr. Lettera a Erodoto, 78, 81-82; Massime Capitali 11 e 12.

Articolo successivo: Argomenti epicurei contro il timore della morte (6)


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