Argomenti epicurei contro il timore della morte (1)
Argomenti epicurei contro il timore della morte (1)
Feb 12[ad#Ret Big]
«Ricordati che devi morire…»
«Come?»
«Ricordati che devi morire!»
«Va bene.»
«Ricordati che devi morire!»
«Sì sì, mo’ me lo segno!»
(M. Troisi, «Non ci resta che piangere», 1985)
Introduzione
Un dato evidente della morte è che (spesso) ci addolora quando colpisce un nostro caro, mentre (talvolta) ci spaventa quando pensiamo alla nostra. Con questo articolo inizierò a presentare alcuni argomenti filosofici contro il timore della morte, forse i più famosi che siano stati formulati.
Spesso chi si occupa di filosofia ha avuto a che fare con la morte, non solo come oggetto di considerazione teorica. A causa delle loro idee, alcuni grandi filosofi hanno trascorso un brutto quarto d’ora – che in genere fu l’ultimo. E uno studente di filosofia, tanto nel corso di logica quanto in quello di storia della filosofia, s’imbatte presto nella premessa maggiore: «Tutti gli uomini sono mortali».
Qualche filosofo sostiene (o ha sostenuto) la cosiddetta tesi del danno, secondo cui, almeno in condizioni di benessere, la morte è un male per chi muore, perché lo danneggia. Un possibile senso in cui la morte arreca danno è che essa ci preclude la possibilità di godere dei beni di cui avremmo potuto fruire se non fossimo morti oppure di quelli di cui stavamo godendo prima di morire. In altre parole, la morte nuocerebbe soprattutto per i beni di cui priva, non tanto – o non solo – per il male che procura; dunque è ragionevole temerla.
La tesi del danno sembra piuttosto plausibile, ma non sorprende che molti filosofi si siano sforzati di criticarla, forse perché colora di tinte fosche, o addirittura tragiche, la nostra vita. Taluni argomentano che, ammesso pure che la morte sia la fine della nostra esistenza, non abbiamo nulla da temere; anzi, non abbiamo nulla da temere proprio perché la morte è la fine della nostra esistenza.
Il caposcuola di tale linea di pensiero fu Epicuro di Samo (341-271/270 a.e.v.). Come un farmaco può guarire da una malattia, così – pensava Epicuro – il ragionamento può agire sui turbamenti che ci affliggono. Ricorrendo ad argomenti razionali, egli esortava i suoi discepoli a dissolvere la paura della morte, che riteneva una delle peggiori sciagure, poiché impedirebbe al saggio di raggiungere la sua maggiore aspirazione: condurre una vita felice.
Negli articoli che seguiranno, esporrò e discuterò due argomenti epicurei: il primo risalente al maestro, il secondo a un discepolo di epoca tarda. Non proporrò un approccio “esistenzialistico”, che impieghi quegli argomenti come spunto per una meditazione più o meno ispirata sulla caducità della condizione umana. Piuttosto, cercherò di attenermi a un approccio dialettico – spero rigoroso – che li esponga esplicitandone le premesse implicite e valutandone la tenuta argomentativa.
Pur essendo argomenti molto antichi, analizzarli non è una mossa anacronistica: ancora oggi la loro discussione sembra un passaggio obbligato per chi voglia sostenere o criticare la tesi del danno. Perciò vale la pena di chiedersi – come farò – se tali argomenti, presi singolarmente o considerati assieme, siano sufficienti al nobile compito che Epicuro attribuiva loro: affrancarci una volta per tutte dall’angoscia della morte.
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Argomento difficile, forse perchè la mente stessa tenta di risolvere il problema evitando di contemplarlo… Se qualcuno riuscisse a razionalizzarlo però supererebbe indenne la madre di tutte le ossessioni.