Diogene Laerzio su Zenone di Elea (IX, 25-29)
Diogene Laerzio su Zenone di Elea (IX, 25-29)
Ott 24
Brano precedente: Diogene Laerzio su Melisso (IX, 24)
25 Zenone eleate. Apollodoro nella Cronologia afferma che questi fisicamente era figlio di Teleagora, mentre per adozione lo era in effetti di Parmenide.
Per quanto concerne costui e Melisso, Timone professa questo:
Quindi la maestosa forza non fiaccabile dell’ambilingue
Zenone, obiettante a tutti quanti; dunque Melisso,
ottimo al di sopra di più fantasmi, inferiore, ecco, a pochi.
Zenone, dunque, ascoltò Parmenide e diventò il suo ragazzo. Ed era alto, come afferma Platone nel Parmenide. Quest’ultimo, inoltre, lo rimembra nel Sofista e nel Fedro e lo chiama «Palamede Eleatico». Aristotele, poi, afferma che egli fu l’inventore della dialettica, come per parte sua Empedocle congegnò la retorica.
Fu, dunque, un soggetto assolutamente geniale in filosofia così come in politica: 26 infatti, ecco, si attribuiscono a costui libri pieni di intelligenza. Giacché volle rovesciare il tiranno Nearco (altri invece preferiscono Diomedonte), fu arrestato, conforme alla fama comunicata da Eraclide nell’Epitome di Satiro. Dunque fu escusso per provocare la denuncia dei complici ed esaminare la questione delle armi che aveva introdotto a Lipari, e menzionò tutti quanti gli amici dell’altro, volendo farlo restare ermo; indi, allegando di avere alcune cose da dirgli all’orecchio per quanto concerneva alcune persone, glielo morse e non lo lasciò sinché non fu infilzato, subendo la stessa fine del tirannicida Aristogitone.
27 Demetrio, da parte sua, professa, negli Omonimi, che gli tranciò il naso. Antistene, invece, nelle Successioni dei filosofi, narra che, dopo che ebbe menzionato gli amici, fu richiesto dal tiranno se ve n’era qualcun altro; egli dunque provocò: «Tu, la sciagura di questa polis». Dunque, secondo questa fama, avrebbe detto agli astanti: «Mi meraviglio della vostra viltà, se per preoccupazione di questi mali che adesso io sopporto rimanete schiavi di questo tiranno», e infine, tranciatasi la lingua, gliel’avrebbe sputata addosso; provocati da questo i cittadini, esaltatisi, avrebbero subito lapidato il tiranno. I più, comunque, narrano, a un di presso, questi stessi fatti. Ermippo, invece, afferma che costui fu messo in un mortaio e fu massacrato.
E anche noi abbiamo evocato costui in questo modo:
28 Desideravi, o Zenone, (eletto desiderio) il tiranno
eliminare, sciogliere da servitù Velia.
Ma fosti abbattuto; ecco, infatti, presoti, il tiranno in un mortaio
ti pestò. Ma che dico? Il tuo corpo, ecco, non già te.
Zenone, dunque, fu uno spirito generoso sotto gli altri aspetti, ma vide anche di cattivo occhio i maggiorenti, come Eraclito; infatti, ecco, rimanendo alla città chiamata dapprima Iele, posteriormente Elea, ch’era colonia dei Focesi, sua patria, polis modesta e prestantesi ad allevare soltanto uomini ottimi, costui la amò meglio della maestosa superbia degli Ateniesi, sicché non si recò in alcuna occasione presso costoro, tutt’altro: visse continuamente in quello stesso luogo.
29 Questi allegò anche per primo la questione dell’Achille – Favorino, invece, professa che l’aveva congegnata Parmenide – e molti altri argomenti. Egli, dunque, sostiene queste opinioni: il cosmo è, mentre il vuoto non è; la natura di tutti quanti gli esistenti, poi, fu generata da caldo e freddo e secco e umido, e questi assumono il cambiamento l’uno dall’altro; la genesi degli umani, dunque, è effettuata dalla terra e la psiche è una mescolanza emergente dai sostrati verbalizzati prima, senza che nessuno di questi ottenga il predominio.
Diffondono la fama che costui, se esposto al ludibrio, s’irritasse; giacché qualcuno lo accusava per questo, avrebbe detto: «Se, esposto al ludibrio, fingo di non prendermela, neppure lodato potrò obbedire alla contentezza».
Che vi furono otto Zenoni, lo abbiamo già discusso nella parte scelta per la trattazione di quello di Cizio. Questo Zenone eleate, infine, raggiunse l’acme nella settantanovesima Olimpiade.
La traduzione è condotta sul testodell’edizione critica di Marcovich:
Diogenes Laertius, Vitae philosophorum, ed. D. Marcovich, Lipsiae 1999.
Brano seguente: Diogene Laerzio su Leucippo (IX, 30-33)