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Diogene Laerzio su Protagora (IX, 50-56)

Diogene Laerzio su Protagora (IX, 50-56)

Mar 06

Brano precedente: Diogene Laerzio su Democrito (terza parte: IX, 45-49)



50 Protagora di Artemone o, come dicono così Apollodoro come Dione nel quinto libro della Storia della Persia, di Meandrio, era abderita, e questo è affermato anche nei libri della Perlustrazione concernente le leggi da Eraclide Pontico, il quale afferma anche che costui scrisse le leggi per i cittadini di Turi, ancorché Eupoli negli Adulatori lo definisca di Teo, giacché dice così:

Dentro vi è Protagora di Teo.

Costui e Prodico di Ceo guadagnarono soldi coi discorsi; e Platone nel Protagora afferma che questo Prodico presentava una voce grave. Dunque, Protagora udì Democrito. Quest’ultimo era chiamato «Sofia», come afferma Favorino nella Storia Varia.

51 E per primo professò che per ogni cosa vi sono due letture argomentabili, l’una antitetica all’altra; così assemblava le questioni allegando questi argomenti, praticando per primo tutto questo. Cominciò altresì una qualche opera in questo modo: «Di tutte le cose è misura l’uomo, delle essenti in quanto sono, e delle non essenti in quanto non sono [pantōn khrēmatōn metron ánthrōpos, tōn men ontōn hōs estin, tōn de ouk ontōn hōs ouk estin]». Argomentava, dunque, che la psiche non è nulla a prescindere dalle sensazioni – anche Platone comunica questa fama nel Teeteto – e che tutte le cose sono vere. In un altro componimento, dunque, comincia in questo modo: «Pertinentemente agli dei, ordunque, non posso avere alcuna idea né sul loro essere né sul loro non essere, giacché più condizioni impediscono questa conoscenza: così l’inevidenza della cosa come l’essere breve della vita dell’uomo [perí men theṓn ouk ekhō eidenai outh’ hōs eisín, outh’ hōs ouk eisí: pollá gar ta kōlúonta eidenai, ē t’ adēlotēs kai brakhús ōn ho bios tou anthrṓpou]». 52 Dunque, discreditato da questo inizio del suo componimento, fu esiliato da parte degli Ateniesi; e i suoi libri furono bruciati nell’agorà successivamente al loro sequestro collettivo da parte d’un araldo presso ciascuno dei possessori.

Costui per primo percepì una remunerazione di cento mine; così per primo teorizzò le discriminazioni in merito al tempo verbale; evidenziò anche la dinamica efficace del kairos; provocò inoltre agoni logici e prodigò sofismi a coloro che praticavano logomachie; ed ecco, uscendo dalla dianoia, dialettizzò a proposito del nome stesso e generò la genia degli eristi, che adesso ottiene tanta popolarità; sicché anche Timone parla così per quanto concerne costui:

Protagora dunque, mescolato al popolo, ch’è ottimamente avveduto nell’eristica.

53 Costui suscitò per primo anche la specie socratica dei dialoghi. Egli per primo dialogando avanzò anche l’argomento d’Antistene, che prova a legittimare l’impossibilità della contraddizione; questo professa Platone nell’Eutidemo. Sempre per primo indicò i modi occorrenti per contrastare le tesi, come professa Artemidoro il dialettico nel libro Contro Crisippo. Per primo congegnò anche quello che viene chiamato cercine, l’oggetto su cui si trasferiscono i carichi, come afferma Aristotele nella Perlustrazione sull’educazione: ecco, infatti, era un facchino; questa fama è riferita da qualche parte anche da Epicuro. E per questo comportamento fu apprezzato da Democrito, in quanto lo adocchiò mentre legava con arte fasci di legna. Per primo, dunque, discriminò i discorsi in quattro aggregazioni collettive: preghiera, quesito, risposta, ingiunzione 54 (mentre da altri è detto che li discriminò in sette classi: diegesi, quesito, risposta, ingiunzione, resoconto, preghiera, allocuzione); e chiamò queste collezioni «fondamenti dei discorsi». Secondo la fama preferita da Alcidamante, invece, le quattro collezioni aggreganti i discorsi sarebbero: affermazione, negazione, quesito, allocuzione.

Tra i suoi discorsi, dunque, lesse per primo questo: Perlustrazione sugli dei; abbiamo fatto la citazione del principio di questo; lo lesse dunque ad Atene, nella casa di Euripide, o, come annotano alcuni, in quella di Megaclide; a detta di altri, invece, nel Liceo, e rammentano che gli prestò la voce il suo discepolo Arcagora di Teodoto. L’accusa contro di lui, dunque, fu sporta da Pitodoro di Polizelo, uno dei Quattrocento, mentre Aristotele afferma che lo fu da Evatlo.

55 Questi dunque sono i libri conservati di costui:

  • Tecnica delle controversie,
  • Sulla lotta,
  • Sulla matematica,
  • Sul governo della polis,
  • Sull’ambizione,
  • Sulle virtù,
  • Sulla costituzione originaria dell’universo,
  • Sulle realtà in Ade,
  • Sulle azioni praticate non rettamente dagli esseri umani,
  • Libro di precetti,
  • Giudizio su una remunerazione,
  • Libri I, II di Antilogie.

E questi son i libri di costui. Anche Platone, dunque, scrisse un dialogo intitolato a lui.

Filocoro, poi, riferisce la fama che, mentre egli stava navigando in direzione della Sicilia, la nave affondò nel ponto; e che Euripide allude enigmaticamente a questo nell’Issione. Alcuni, per contro, comunicano che egli decedette durante un viaggio, dopo aver vissuto pressappoco novant’anni. 58 Apollodoro, invece, dichiara che il trapasso lo colse a settant’anni, quando professava la sofistica da quarant’anni, e che attinse l’acme in concomitanza con l’ottantaquattresima Olimpiade.

V’è anche un nostro componimento indirizzato a costui, di questo tenore:

Così su di te, Protagora, udii questa fama: quando da Atene
uscisti, procedendo nel cammino, ed eri vecchio, moristi:
sortì, ecco, a te l’esilio la polis di Cecrope; d’altronde tu comunque
dall’urbe di Pallade fuggisti, mentre a Plutone non sfuggisti.

Si dice dunque che una volta, siccome egli chiedeva la remunerazione a Evatlo suo discepolo, quando quello lo provocò così: «Ma non ho ancora vinto una causa», ribatté: «Se, d’altra parte, vincerò io, giacché avrò vinto, la riceverò legittimamente, mentre se vincerai tu, la riceverò giacché avrai vinto tu».

È nato, dunque, anche un altro Protagora, astronomo, in memoria del quale Euforione scrisse anche un epicedio; ve ne fu anche un terzo, filosofo stoico.

La traduzione è condotta sul testo dell’edizione critica di Marcovich:
Diogenes Laertius, Vitae philosophorum, ed. D. Marcovich, Lipsiae 1999.
Nella traslitterazione l’accento è sempre semplificato in acuto e segnato solo sui polisillabi non piani.


Brano seguente: Diogene Laerzio su Diogene di Apollonia (IX, 57)


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