Diogene Laerzio su Periandro (I, 94-100)
Diogene Laerzio su Periandro (I, 94-100)
Ago 21Brano precedente: Diogene Laerzio su Cleobulo (I, 89-93)
94 Periandro di Cipselo, corinzio, discendeva dalla genia degli Eraclidi. Costui sposò Lisida, che egli chiamava Melissa, figlia di Procle tiranno di Epidauro e di Eristeneia figlia di Aristocrate e sorella di Aristomede, i quali occupavano da signori quasi tutta l’Arcadia, come afferma Eraclide Pontico nel libro Sul potere. Riuscì ad avere da costei due figli, Cipselo e Licofrone; il più giovane era un prudente, mentre il più vecchio era insensato. Dopo del tempo, soccombendo all’ira, s’avventò con uno scranno sulla moglie, che era incinta, o la prese a calci, e così la uccise, dacché s’era fidato alle diffamazioni di alcune concubine, che poi mandò al rogo.
Inviò dunque in esilio a Corcira il figlio, il cui nome era Licofrone, giacché si era addolorato per la madre. 95 Dunque, arrivato alla vecchiaia, lo mandò a chiamare, perché prendesse l’eredità della tirannide; i Corciresi, dacché previdero questo, lo uccisero. Per questo, adiratosi, inviò i figli di costoro presso Aliatte per farli evirare; tuttavia, quando la nave s’approssimò a Samo, essi, supplicando Era, furono salvati dai Sami.
Così costui, disanimatosi, trapassò, quando aveva già ottant’anni. Sosicrate, dunque, afferma che egli trapassò quarantun anni prima di Creso, tre prima della quarantanovesima Olimpiade. Erodoto nel primo libro afferma che egli fu ospite di Trasibulo, tiranno di Mileto.
96 Inoltre, Aristippo, nel primo libro della Perlustrazione sulla dissolutezza degli antichi, veicola, per quanto lo concerne, questa fama: sua madre Cratea, innamorata, si univa a lui di nascosto; ed egli ne traeva piacere. Ma quando questo venne accertato, divenne oppressivo con tutti per il dolore generato da questo disvelamento. Eforo racconta altresì che fece voto che, se avesse vinto a Olimpia nella corsa delle quadrighe, avrebbe offerto al dio una statua aurea; dopo aver vinto, giacché non aveva oro alla sua portata, vedendo a una festa epicoria le donne ingioiellate, fece asportare tutti i gioielli e inviò al dio quest’offerta votiva.
Alcuni, dunque, asseriscono che, visto che desiderava che la sua tomba non fosse riconosciuta, macchinò qualcosa di questo genere. Ordinò a due giovani, dopo aver indicato una strada, d’uscire di notte e uccidere colui che avanzava verso di loro e di seppellirlo; dunque, ordinò di nuovo ad altri quattro di procedere dietro questi due e, uccisili, di seppellirli; dunque, ad ancor più uomini ripeté l’ordine di seguire questi ultimi. Ed in questo modo egli stesso, imbattutosi nei primi, venne ucciso. I Corinzi, dunque, su un cenotafio scrissero per lui questo epigramma:
97 Questa patria, Corinto, terra in riva al salso mar con golfi,
ha Periandro, primeggiante in ricchezza e sofia.
Ve n’è anche uno nostro:
Non affliggerti mai qualora in sorte non ti sia toccato alcunché, tutt’altro:
rallegrati di tutti i doni che dà Dio,
dacché, ecco, inerme per lo scoramento il sofo Periandro si spense,
giacché la sorte non gli portò quel che desiderava.
Sua è questa lezione: «Non praticare nulla in vista del guadagno, siccome bisogna guadagnare le cose degne d’esser guadagnate». Fece anche una versione poetica dei suoi consigli: in tutto duemila versi. Sostenne, dunque, che quanti scelgono di esercitare la tirannide in sicurezza devono essere difesi, come dorifori, dalla benevolenza dei cittadini, e non dalle armi. Quando, poi, gli fu chiesto perché continuasse a fare il tiranno, proferì: «Giacché tanto l’abdicare spontaneamente quanto l’esser deposto comportano pericolo». Dispensava anche queste lezioni: cosa bella è la tranquillità; cosa fallibile è l’accelerazione impetuosa; guadagno obbrobrioso è un’accusa rivolta alla natura; la democrazia è migliore della tirannide; i piaceri son corruttibili, mentre gli onori son immortali; quando sei fortunato sii misurato, mentre quando sei sfortunato sii assennato; 98 sii sempre lo stesso con gli amici, tanto quando sono fortunati tanto quando non son fortunati; rispetta le scelte concordate insieme agli altri; astieniti dal riferire i segreti; censura non solo coloro che sbagliano, ma altresì coloro che si dispongono a farlo.
Costui per primo ebbe dorifori come guardie del corpo e trasformò lo stato in tirannide; e non consentiva di vivere in città a tutti quelli che lo volevano, come riferiscono Eforo e Aristotele. Pervenne all’acme, dunque, durante la trentottesima Olimpiade, e rimase tiranno per quarant’anni.
Inoltre, Sozione, Eraclide e Panifile, nel quinto delle Memorie, affermano che son nati due Periandro, l’uno un tiranno, l’altro, invece, un sofo di Ambracia. 99 Afferma questo anche Neante il ciziceno, sostenendo altresì che erano congiunti. Aristotele dice anche che quello corinzio era il sofo, mentre Platone non lo dice.
Sua è questa lezione: «Il miglioramento è tutto». Desiderava, dunque, scavare un canale attraverso l’Istmo. Di lui si tramandano anche delle epistole:
Periandro ai Sofi.
Son pieno di gratitudine verso Apollo Pizio per avervi trovati convenuti insieme. Le mie epistole, dunque, vi condurranno anche a Corinto. Io, da parte mia, vi accoglierò, come sapete voi stessi, nel modo più democratico possibile. M’è giunta voce che l’anno scorso avete tenuto un altro vostro congresso presso il re della Lidia, a Sardi. Dunque, non esitate a venire in visita anche presso di me, il tiranno di Corinto. Infatti, anche i Corinzi vi vedranno con piacere frequentare la casa di Periandro.
Periandro a Procle.
100 L’uccisione della mia donna fu involontaria; tu, di contro, volontariamente, condizionando il mio distanziamento dal cuore del figlio, mi provochi un’ingiustizia. Quindi fa’ posare la durezza del figlio, oppure io farò vendetta su di te. Io stesso, infatti, ho pagato le dovute pene per tua figlia, siccome ho fatto bruciare insieme con lei le vesti di tutte le donne corinzie.
A lui, infine, scrisse anche Trasibulo, in questo modo:
Trasibulo a Periandro.
Al tuo araldo non ho risposto nulla; invece, dopo averlo condotto in un agro di biade, asportavo, tra le spighe, quelle cresciute al di sopra delle altre colpendole con una verga, mentre quello mi accompagnava sempre. A te verbalizzerà, se glielo chiederai, che cosa abbia visto o ascoltato da parte mia. Anche tu, dunque, agisci in questo modo, sempre che, certo, desideri rafforzare il potere totalitario: tra i cittadini, quelli eminenti eliminali comunque, sia che qualcuno ti sembri tuo nemico, sia che non ti sembri. Infatti, per un uomo armato di potere totalitario, chiunque è sospetto, anche tra gli amici.
La traduzione è condotta sul testo dell’edizione critica di Marcovich:
Diogenes Laertius, Vitae philosophorum, ed. D. Marcovich, Lipsiae 1999.
Brano seguente: Diogene Laerzio su Anacarsi (I, 101-105)