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Diogene Laerzio su Licone (V, 65-74)

Diogene Laerzio su Licone (V, 65-74)

Mar 27




Brano precedente: Diogene Laerzio su Stratone di Lampsaco (V, 58-64)

65 A costui succedette come diadoco nel capeggiare la scuola Licone figlio d’Astianatte, della Troade, uomo facondo e insieme collocabile nell’attingimento dell’acme per quanto riguarda la pedagogia. Professava, ecco, che si deve coartare i figli col giogo del pudore e dell’ambizione, così come i cavalli si soggiogano con sprone e freno. Dunque, la competenza ecfrastica e l’ingegno performativo nell’espressione di costui appaiono anche nel proferimento che sarà riferito indi: ragionò, ecco, in questo modo osservando una fanciulla povera: «Gravoso, ecco, fardello per un padre una ragazza che, disgraziatamente sprovvista di dote, esce di corsa dal kairos all’acme della gioventù». Provocato da questa sua disposizione, dunque, raccontano eziandio che Antigono abbia osservato questo su costui, ossia che, come non sarebbe stato possibile trasferire il buon odore e la gradevolezza d’una mela altrove, così anche su quest’uomo occorreva riguardare ciascuna delle sue lezioni, come appunto occorre fare per quanto riguarda un frutto cresciuto sull’albero. 66 Questo, dunque, giacché nel parlare era dolcissimo; per questa eleganza alcuni facevano l’aggiunta di un gamma al suo nome. Nello scrivere, invece, fu dissimile da sé stesso quanto a dolcezza. Per esempio, ecco dunque, osservando i pentiti che misconoscevano le proprie scelte giacché non avevano in mente lo studio mentre occorreva il kairos, e pregavano di votarvisi, sentenziava elegantemente in questo modo: «Costoro vengono condannati da sé stessi, mostrando con una preghiera votata all’irrealizzabilità il pentimento di un’inerzia incorreggibile». Professava, dunque, che coloro che deliberano distortamente falliscono nella logica, come se volessero saggiare con una canna storta una cosa diritta, o conoscere un volto proiettato in acqua agitata o in uno specchio distorcente. Diceva anche che, da un lato, i più ambiscono a ottenere la corona per editto dell’assemblea nell’agorà, mentre, dall’altro, nessuno o pochi appetiscono quella ottenibile a Olimpia. 67 Avendo, dunque, consigliato più volte gli Ateniesi su come compiere molte faccende, giovò a costoro in massimo grado.

Era, oltre a questo, delicatissimo nell’abbigliamento, tanto da usare vesti d’insuperabile finezza; Ermippo riferisce questo. D’altronde gli andava moltissimo a genio anche la ginnastica ed era in buone condizioni fisiche; aveva, dunque, tutto l’aspetto d’un atleta, presentandosi con orecchie pestate dai colpi e imbevuto dell’olio della palestra; Antigono di Caristo narra questo; per questa disposizione, dunque, si dice anche che abbia gareggiato sia nella lotta, nei Giochi d’Ilio in patria, sia nel gioco della sfera. Come nessun altro, dunque, era diletto per la corte d’Eumene e d’Attalo, che compivano anche ottime agevolazioni per costui. Anche Antioco, dunque, sperimentò di avere costui come amico, peraltro senza riuscirci. 68 Era, invece, tanto nemico di Ieronimo il peripatetico da permanere il solo a non incontrare costui nel giorno dell’anniversario, a proposito del quale abbiamo già letto nella discussione della vita di Arcesilao.

Fece da scolarca, dunque, per quarantaquattro anni, dopo che Stratone gli lasciò la scuola nelle disposizioni testamentarie, in concomitanza con la centoventisettesima Olimpiade. D’altronde udì anche le disputazioni del dialettico Pantoide. Trapassò, dunque, quando aveva settantaquattro anni, offeso dal degenerare del morbo podagrico. V’è anche un nostro componimento poetico indirizzato a costui:

No di certo, non staremo senza presentare questo Licone, che offeso da podagra
morì; mi meraviglio di questo moltissimo, d’altronde, io:
che la via accedente ad Ade, così lunga, costui, che prima coi piedi
altrui vi veniva, adesso attraversò di corsa in una singola notte.

69 Son nati, dunque, anche altri Licone: primo, un pitagorico; secondo, questo stesso di cui discorriamo; terzo, un poeta di versi epici; quarto, un poeta d’epigrammi.

Abbiamo trovato, per giunta, le disposizioni testamentarie fatte da questo filosofo; dunque, son queste:

«Faccio queste disposizioni per quanto concerne i miei averi, semmai non riuscissi a sopportare questa infermità: do tutti gli averi nella villa natale ai fratelli Astianatte e Licone, e credo convenga prelevare da questi quanto occorre per rendere i debiti contratti ad Atene, che ho per aver prestato a qualcuno o portati da un esito, così come per pagare le spese che sortiranno dalle esequie e afferenti alle altre consuetudini in uso. 70 Do a Licone, dunque, gli averi in città e in Egina per queste discriminanti: tanto perché porta questo nostro nome, quanto perché ha trascorso insieme con noi il più del tempo disponibile del tutto soddisfacentemente, come era giusto con riferimento all’attingimento della condizione di figlio.

Lascio dunque il Peripato, tra i discepoli, a coloro che lo vogliono: Bulone, Callino, Aristone, Anfione, Licone, Pitone, Aristomaco, Eraclio, Licomede, il nipote Licone. Questi stessi, dunque, facciano primo colui che suppongano potrà distinguersi meglio nel permanere occupato nel praticare gli studi e nell’aumentare l’unità dell’insieme. Esorto a collaborare insieme con lui, comunque, anche i restanti discepoli, per amore sia mio sia del luogo.

Per quanto afferisce alle esequie e alla cremazione, dunque, se ne occupino Bulone e Callino insieme ai loro compagni, cosicché non degenerino né in illiberali né in sperpero. 71 In merito, dunque, agli olivi sacri posseduti da me in Egina, dopo il mio trapasso Licone li conceda ai giovani in vista della raccolta di olive, cosicché nasca opportuna memoria così di me come di chi mi ha onorato, dischiusa da questo beneficio. Faccia anche erigere e dedicare una nostra statua; osservi che il luogo sia armonioso coll’istallazione e per supportarlo collaborino con lui Diofanto ed Eracleide di Demetrio. Attingendo, dunque, dai beni che ho in città, Licone renda il dovuto a tutti coloro dai quali ho preso in anticipo qualcosa, dopo il suo viaggio all’estero. Provvedano, dunque, Bulone e Callino alle spese in riferimento così alle esequie come alle altre usanze. Procurino, dunque, questi denari raccogliendoli dalle sostanze che, nella mia villa natale, son state lasciate a entrambi in comune da me. 72 Ricompensino, dunque, eziandio i medici Pasitemi e Media, giacché sono degni di onore ancora maggiore tanto per la cura offertami quanto per la tecnica di cui dispongono. Do, dunque, al figlio di Callino un paio di coppe di Tericle e alla moglie di costui un paio di coppe di Rodi, un tappeto senza pelo, un tappeto col pelo d’ambe le parti, una coperta, due cuscini, i migliori tra quelli che lascio in eredità; questo perché sia chiaro che, per quanto concerne l’onore, neanche di costoro siamo immemori.

Per quanto afferisce ai miei servitori, dunque, esigo questo: a Demetrio, che è soggetto libero da tempo, rimetto il prezzo del riscatto e do cinque mine con un mantello e un chitone, cosicché, dopo aver sopportato una pluralità di fatiche con me, possa avere una vita decorosa. Dunque, anche a Critone di Calcedonia rimetto il prezzo del riscatto e do quattro mine. Rendo soggetto libero anche Micro; e Licone mantenga ed educhi costui dal tempo presente per sei anni. 73 Anche Carete rendo soggetto libero; Licone mantenga anche costui. A costui do anche due mine con i miei libri noti al pubblico, mentre do quelli inediti a Callino coll’obiettivo che li editi con molta cura. Dunque, do eziandio a Siro, ch’è libero, quattro mine, e gli do anche Menodora; e, se mi deve qualcosa, glielo rimetto. E a Ilara dono cinque mine con un tappeto col pelo d’ambe le parti, una coperta, due cuscini ed eziandio un letto, quello che voglia. Lascio liberi, dunque, anche la madre di Micro, Noemone, Dione, Teone, Eufranore ed Ermeia. Anche Agatone, una volta che sia rimasto per due anni, va lasciato libero; così per i trasportatori di carichi, Ofelione e Posidonio, dopo che siano rimasti per quattro anni. 74 Dunque, do eziandio a Demetrio, Critone e Siro un letto per ciascuno e, tra le coperte lasciate in eredità, quelle che a Licone sembrino andare bene. Questi oggetti siano di costoro, dacché han dimostrato di essersi occupati correttamente dei compiti assegnati a ciascuno.

Per quanto concerne la sepoltura, dunque, Licone faccia come preferisce, sia che voglia seppellirmi in questo luogo sia che voglia farlo nella mia villa natale. Confido, ecco, che costui, non meno di me, abbia riguardo per quel che sembra essere benfatto. Dunque, una volta che abbia gestito tutti questi obiettivi, sia in totale possesso dei beni che si trovano in questa villa, donatigli per testamento. Testimoni: Callino di Ermione, Aristone di Ceo, Eufronio di Peanea».

Or dunque, in questo modo costui, che metteva sempre in pratica tutti i progetti con intelligenza, sia per quanto concerne la pedagogia sia in ogni genere di ricerca intellettuale, ha fatto anche queste disposizioni testamentarie sia occupandosene con molta cura sia con oculatezza economica; dunque, anche in riferimento a questo è da emulare con zelo.

La traduzione è condotta sul testo dell’edizione critica di Marcovich:
Diogenes Laertius, Vitae philosophorum, ed. D. Marcovich, Lipsiae 1999.


Brano seguente: Diogene Laerzio su Demetrio Falereo (V, 75-85)



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