Temi e protagonisti della filosofia

Diogene Laerzio su Carneade (IV, 62-66)

Diogene Laerzio su Carneade (IV, 62-66)

Ago 07


Brano precedente: Diogene Laerzio su Lacide (IV, 59-61)


62 Carneade di Epicome o di Filocomo (come preferisce Alessandro nelle Successioni dei diadochi dei filosofi) era cireneo. Costui, dopo aver letto con molta solerzia i libri degli stoici, e con moltissima quelli di Crisippo, avanzò opportunamente obiezioni ad essi e le presentò tanto elettamente che citava anche quel noto verso:

Se non ci fosse stato Crisippo, ecco che io non ci sarei.

Quest’uomo, dunque, fu amante del lavoro quant’altri mai, meno portato nell’investigazione fisica e invece di più nell’etica. Per questo teneva una lunga chioma e lasciava crescere le unghie, proprio per l’indisponibilità di tempo dovuta alla coltivazione dell’intelletto. Ebbe, dunque, tanta fortuna in filosofia che anche i retori, liberatisi dalle esigenze delle scuole, si recavano presso costui così da ascoltarlo.

63 Presentava, dunque, anche una voce alta in massimo grado, cosicché il presidente del ginnasio gli mandò a dire di non gridare in tal modo; costui, dunque, rispose: «Così dammi anche un metro della voce». A questo punto quello, cogliendo subito l’attimo con molta presenza di spirito, replicò asserendo: «Hai come metro gli ascoltatori». Dunque, era acuto nel biasimare, e difficilmente confutabile nelle discussioni; si privava, per il resto, dei banchetti, per le ragioni verbalizzate prima. Costui una volta, giacché Mentore di Bitinia, che era suo discepolo e veniva presso di lui alle sue dissertazioni, importunava una sua concubina, come afferma Favorino nella Storia Varia, nel bel mezzo della lezione recitò questi versi parodistici indirizzati a lui:

64 Vaga qui un vecchio uomo di mare, che non inganna,
a Mentore simile a vedersi tanto nel corpo quanto nella favella;
dico che costui da questa scuola è stato estromesso.

Così quello, levatosi, recitò:

Gli uni estromisero, mentre gli altri s’aggregarono molto celermente [Il. II 53 e 444; Od. II 8].

Offriva comunque il destro alla fama che nei confronti del trapasso lo cogliesse un timore troppo acuto, giacché diceva sempre: «La natura che fu mia costitutrice mi dissolverà pure». Comunque, quando seppe che Antipatro era morto dacché aveva bevuto un farmaco, fu spronato alla prodezza nei confronti del migrare dall’altra parte e proferì: «Date, dunque, anche a me»; e dacché gli chiesero: «Che cosa?», «Vino mielato», rispose. Quando costui trapassò, affermano che si sia ingenerata un’eclissi di luna, quasi che, si potrebbe dire, il più bello degli astri dopo il sole volesse mostrare enigmaticamente la sua simpatia.

65 Apollodoro nella Cronologia afferma che costui uscì dal consorzio degli umani nel quarto anno della centosessantaduesima Olimpiade, avendo vissuto ottantacinque anni. Di lui, inoltre, si tramandano alcune epistole per Ariarte, re della Cappadocia. Quanto ai suoi restanti scritti, li assemblarono i discepoli; egli, da parte sua, non ne lasciò alcuno.

V’è anche per lui un nostro componimento in metro logaedico ed archebuleo:

Perché vuoi da me, Musa, per quale ragione vuoi da me un biasimo di Carneade?
Ignorante, effettivamente, è colui che non sa come temesse
il morire; eziandio quella volta in cui era offeso dalla tisi, amarissima
malattia, preferiva non ottenere la dissoluzione; d’altronde, avendo udito
che Antigono s’era spento dacché aveva bevuto un qualche farmaco,
66 favellò: «Date dunque eziandio a me qualcosa da bere». «Che cosa, ebbene, ti diamo,
che cosa?». «Date vino mielato». Sempre, dunque, aveva pronta questa massima qui:
«La natura che fu mia assemblatrice mi dissolverà pure».
Con tutto ciò pervenne sotto terra; in ogni modo gli era possibile
risparmiandosi la più parte delle piaghe arrivare in Ade.

Si dice anche che, di notte, soffrisse di cataratta e l’ignorasse; si narra, dunque, che ordinò al servo di accendere un lume; però, quando quello lo portò nella stanza dicendogli: «L’ho portato», gli disse: «Allora leggi tu». Di costui, infine, vi son stati molti altri discepoli, ma l’ingegno più eletto fu Clitomaco; di quest’ultimo, dunque, bisogna parlare adesso.

È nato anche un altro Carneade, freddo poeta elegiaco.

La traduzione è condotta sul testo dell’edizione critica di Marcovich:
Diogenes Laertius, Vitae philosophorum, ed. D. Marcovich, Lipsiae 1999.

Brano seguente: Diogene Laerzio su Clitomaco (IV, 67)


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