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Diogene Laerzio su Anassimene (II, 3-5)

Diogene Laerzio su Anassimene (II, 3-5)

Nov 28

 

 

Brano precedente: Diogene Laerzio su Anassimandro (II, 1-2)

 

3 Anassimene di Erisistrato, milesio, udì Anassimandro. [Alcuni però professano che costui udì anche Parmenide.] Questi disse che archè è l’aria e che questa è infinita. Inoltre, gli astri si muoverebbero non sotto la terra, bensì intorno alla terra. Per veicolare ha utilizzato, dunque, un dialetto ionico semplice e non ridondante.

Oltre a questo, è nato, citando quanto professa Apollodoro, nel periodo della presa di Sardi, mentre è morto nella settantatreesima Olimpiade.

Ve ne furono eziandio altri due, lampsaceni, un retore e uno storico, che era figlio della sorella del retore che ha scritto le Imprese di Alessandro.

Questi, ordunque, è il filosofo, e scrisse queste epistole:

«Anassimene a Pitagora.

4 Talete, ottenuta la vecchiaia qual esito d’un bel destino propizio, se n’è andato con un destino non propizio; giacché di notte, come soleva, uscito dalla casetta assieme alla serva, contemplava gli astri; e (ecco, effettivamente non faceva attenzione) nel contemplare, avventuratosi in direzione del crepaccio, vi cadde. Per i Milesi, orbene, questo intellettuale studioso della realtà eterea giace, imbattutosi in questa fine. Noi, comunque, i discepoli di costui, dobbiamo rammentarci di quest’uomo, sia noi sia i nostri figli sia i discepoli, ed occorre che perpetuiamo l’esposizione delle lezioni di costui. Ebbene, il principio di ogni lezione sia dedicato a Talete».

Ed ancora:

«Anassimene a Pitagora.

5 Sei stato il più saggio tra noi: avendo voluto emigrare da Samo a Crotone, là soggiorni in pace. Invece, i figli di Aiaceo commettono intollerabili malvagità contro le genti di Samo e i Milesi non ottengono affrancamento dai signori. Diro per noi è eziandio il re dei Medi, sempreché, ecco, non preferiamo pagare il tributo; d’altronde gli Ioni, ambendo alla libertà di tutti quanti, intendono contrastare i Medi in guerra; eppure, contrastandoli, non sarà più evocabile per noi speranza di salvezza. Ebbene, in quest’ambito, come potrebbe Anassimene avere ancora in animo di praticare lo studio delle leggi delle realtà eteree, essendo nel timore della morte o della schiavitù? Tu, invece, sei ben gradito ai Crotoniati, gradito anche agli altri Italioti; si recano a discutere con te uscendo anche dalla Sicilia».

 

La traduzione è condotta sul testo dell’edizione critica di Marcovich:
Diogenes Laertius, Vitae philosophorum, ed. D. Marcovich, Lipsiae 1999.

 

 


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