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Diogene Laerzio su Anassarco (IX, 58-60)

Diogene Laerzio su Anassarco (IX, 58-60)

Ott 03

Brano precedente: Diogene Laerzio su Diogene di Apollonia (IX, 57)

58 Anassarco era abderita. Costui udì le lezioni di Diogene lo smirneo; quest’ultimo, a sua volta, aveva udito quelle di Metrodoro il chioto, il quale diceva di non sapere neanche questo: di non sapere nulla. Metrodoro, infine, avrebbe ascoltato Nessa il chioto; altri, comunque, affermano che ascoltò Democrito. Questo Anassarco, dunque, era anche compagno d’Alessandro, vide la sua acme durante la centodecima Olimpiade ed ebbe come nemico Nicocreonte, il tiranno di Cipro; ordunque, quando, in un simposio, Alessandro gli chiese di renderlo edotto su come vedesse il banchetto, tramandano la fama che abbia provocato così: «O re, tutto quanto pieno di sontuosità; si dovrebbe soltanto far portare anche il capo d’un tiranno», lanciando una frecciata a Nicocreonte. 59 Questi dunque, memore dell’affronto, dopo la morte del sovrano, quando, navigando, volente o nolente Anassarco fu costretto ad approdare a Cipro, una volta catturatolo e buttatolo in un mortaio, ordinò di batterlo con pestelli di ferro. Egli dunque, non badando alla condanna, ecco che avrebbe dato voce a quel proferimento così celebre, questo: «Pesta, pesta questo sacco d’Anassarco, però non pesti Anassarco». Dunque la leggenda pretende che, davanti all’ordine di Nicocreonte di tagliargli anche la lingua, tranciatasela, gliel’abbia sputata addosso. V’ha anche questo nostro componimento indirizzata a costui:

Pesta, ecco, Nicocreonte, eziandio meglio; è un sacco;
pesta, ecco; Anassarco, invece, è da tempo nella casa di Giove.
Straziatoti col cardo, tra poco dirà questi
verbi Persefone: «Va’ alla malora, mugnaio cattivo».

60 Questi, a causa dell’apatia e della semplicità di vita, era chiamato Eudemonico; era anche capace di educare all’assennatezza nel modo più agevole. Così, ecco, ottenne il ripensamento di Alessandro, che credeva d’essere un dio: ecco dunque, nell’occasione in cui vide scorrergli sangue da una piaga, indicatolo colla mano, disse: «Questo qui è proprio sangue e non

icore, quale scorre per le vene degli dei beati (Iliade, V 340)».

Plutarco, invece, professa che Alessandro stesso abbia detto questo agli amici. D’altronde anche altre volte, allorquando Anassarco beveva rivolgendogli un prosit, avrebbe indicato il calice e avrebbe evocato

Qualcuno tra gli dei sarà colpito da mano mortale (Euripide, Oreste, 271).

La traduzione è condotta sul testo dell’edizione critica di Marcovich:
Diogenes Laertius, Vitae philosophorum, ed. D. Marcovich, Lipsiae 1999.


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