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Alcinoo, Didascalico [Insegnamento delle dottrine di Platone], IV

Alcinoo, Didascalico [Insegnamento delle dottrine di Platone], IV

Dic 30

 

 

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1. Ebbene, se è qualcosa il discernimento giudicante, lo è dunque anche il giudicato, sarà allora qualcosa anche l’esito risultante da questi, per il quale si può concertare il vocabolo “giudizio”. Eminentemente, dunque, il giudizio si dovrebbe denominare criterio, in ambito più generale comunque anche il discernimento giudicante; questo, dunque, è di due specie ‒ l’una è quello da cui, l’altra è quello mediante cui è giudicato il giudicato ‒, delle quali l’una potrebbe essere l’intelletto in noi, quello-mediante-cui, invece, lo strumento naturale, discriminatorio con precedenza dei giudizi veri, conseguentemente, dunque, anche dei falsi: questo, dunque, non è altro che la ragione naturale.

2. Con l’obiettivo, dunque, della maggior chiarezza: giudice può esser definito il filosofo, da cui le cose son giudicate; giudice, comunque, è anche la ragione, mediante cui il vero è giudicato, e che abbiamo professato essere anche strumento. Di due specie, dunque, è la ragione: l’una, ecco, è totalmente inattingibile ed indistorcibile, l’altra, invece, infalsificabile in rapporto alla conoscenza delle cose. Di queste, dunque, la prima è possibile a dio, ma impossibile all’uomo, la seconda, invece, possibile anche all’uomo.

3. Di due specie, dunque, è anche questa ‒ l’una perlustra gli intelligibili, l’altra invece perlustra i sensibili ‒, delle quali quella perlustrante gli intelligibili è scienza stabile e ragione scientifica, quella perlustrante i sensibili è invece doxastica ed opinione. Perciò quella scientifica ha saldezza e permanenza, giacché perlustra i principi saldi e permanenti, quella persuasiva è invece perlopiù verosimile per il suo non essere perlustrazione degli enti permanenti.

4. Ordunque, principi della scienza stabile (quella che perlustra gli intelligibili) e dell’opinione (quella che perlustra i sensibili) sono intellezione e percezione. Ebbene, percezione è affezione dell’anima mediante il corpo, enunciativa con precedenza della capacità affetta: allorquando, dunque, nell’anima mediante i sensori in corrispondenza della sensazione s’ingenera un’impronta (cioè per l’appunto una percezione) e poi questa, durante un’estensione di tempo, non degenera perendo ma è permanente e conservata nel divenire, la sua conservazione si chiama memoria.

5. Opinione, dunque, è coimplicazione di memoria e percezione. Allorquando, infatti, c’imbattiamo in qualcosa di sensibile per la prima volta, da esso si genera in noi anche una percezione e da questa una memoria; se in occasioni successive ci imbattiamo [p. 155 H.] un’altra volta nello stesso sensibile, sintetizziamo la preesistente percezione colla percezione generata dalla seconda esperienza ed in noi stessi ragioniamo: “ecco Socrate”, un cavallo, un fuoco e quant’altro; e questo si chiama opinione, il sintetizzare da parte nostra la preesistente <memoria> colla percezione generata novellamente; e quando questi eventi consonano l’un coll’altro, si genera opinione vera, quando invece son alternativi, falsa. Se, infatti, qualcuno avente memoria di Socrate imbattendosi in Platone crede, conforme a una certa qual somiglianza, d’imbattersi un’altra volta in Socrate, dopodiché sintetizza la percezione ricevuta da Platone, come se l’avesse ricevuta da Socrate, colla memoria che ha di Socrate, si genera l’opinione falsa. Ciò in cui, dunque, si generano la memoria e la percezione, Platone lo paragona ad una massa di cera. Quando dunque, avendo plasmato le dottrine opinate estraendole da percezione e memoria, l’anima col pensiero le osserva come fossero per davvero quelle cose dalle quali si generarono, tale osservare Platone lo chiama “ritratto”, ossia, come lo chiama dunque anche qualche altra volta, “apparenza”; appella, invece, “pensiero” il dialogo dell’anima con se stessa, “linguaggio”, invece, il flusso da lei procedente mediante la bocca accompagnato da suono.

6. “Intellezione”, dunque, è l’attività dell’intelletto contemplante gli intelligibili primi; questa sembra essere di due specie, quella prima della nascita dell’anima in questo corpo, quando essa stessa contemplava gli intelligibili, e quella ad ingresso in questo corpo avvenuto; di queste, dunque, quella prima della nascita dell’anima in un corpo era propriamente chiamata “intellezione”, mentre, dopo che essa è nata in un corpo, quella che allora era definita intellezione fu dunque definita “nozione naturale”, cioè intellezione già insita nell’anima. Quando quindi affermiamo che l’intellezione è il principio della ragione scientifica, lo affermiamo non su quella definita adesso, ma su quella di quando l’anima era separata dal corpo, la quale, come abbiamo affermato, allora era definita “intellezione”, mentre adesso è definita “nozione naturale”; la nozione naturale, ordunque, è da lui stesso chiamata sia “scienza semplice”, sia “ala dell’anima”, sia, qualche volta, “memoria”.

7. Come esito, dunque, di queste scienze, che sono semplici, si costituisce la ragione naturale e scientifica, per natura sussistente in noi. Quindi, essendovi una ragione scientifica ed una doxastica, essendovi dunque sia intellezione sia percezione, vi sono anche i sostrati di competenza di queste, cioè gli intelligibili ed i sensibili; e siccome, degli intelligibili, gli uni son sostanze prime, come le idee, gli altri, invece, seconde, come le specie oggettivamente inerenti alla materia, che sono inseparabili dalla materia, anche l’intellezione è di due specie: quella dei primi e quella dei secondi. E, ancora, siccome, dei sensibili, gli uni sono primi, come le [p. 156 H.] qualità, ad esempio colore, bianchezza, mentre gli altri son per accidente, ad esempio il bianco, il colorato, ed oltre a questi vi è l’assemblaggio, ad esempio fuoco, miele, così, dunque, anche la percezione è duplice, l’una, la quale è definita prima, sarà percezione dei primi, mentre l’altra, definita seconda, sarà percezione dei secondi. Ordunque, gli intelligibili primi li giudica l’intellezione, non senza la ragione scientifica, con una qualche presa intuitiva e non con discorsività, i secondi, invece, la ragione scientifica, non senza intellezione; invece i sensibili primi ed i secondi li giudica la percezione, non senza la ragione doxastica, l’assemblaggio, invece, la ragione doxastica, non senza la percezione.

8. Ordunque, essendo il cosmo intelligibile un intelligibile primo e quello sensibile, invece, un assemblaggio, il cosmo intelligibile lo giudica l’intellezione con la ragione, ossia non senza la ragione, quello sensibile, invece, la ragione doxastica, non senza la percezione. Essendovi dunque contemplazione e prassi, la retta ragione giudica non similmente i soggetti di competenza della contemplazione e le azioni praticabili, ma, nella contemplazione, ispeziona il vero e quel che non esibisce questa qualità, nelle azioni, invece, qual è l’azione propria e quale quella aliena e che cos’è quel ch’è praticato. Infatti, per il fatto d’avere una nozione naturale di bello e di buono, usando la ragione e riferendoci alle nozioni naturali come ad alcune misure oggettivamente definite giudichiamo se alcune azioni hanno queste qualità oppure se le cose stanno altrimenti.

 

La traduzione dal greco è condotta sul testo della seguente edizione: Alcinoos. Enseignement des doctrines de Platon, texte introduit, établi et commenté par John Whitakker, traduit par Pierre Louis, Les Belles Lettres («Collection des Universités de France ‒ Association Guillaume Budé»), Paris 1990, 2002 (deuxieème tirage).
Traduzioni italiane:
Giuseppe Invernizzi, Il Didaskalikos di Albino e il medioplatonismo. Saggio di interpretazione storico-filosofica con introduzione e commento del Didaskalikos, 2 voll., Edizioni Abete, Roma 1976;
Medioplatonici. Opere, frammenti, testimonianze, Introduzione, traduzione, note e apparati di commento a cura di Emmanuele Vimercati, Bompiani, Milano 2015, pp. 585-709.

 

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