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Il Tractatus Logico Philosophicus di L. Wittgenstein

Il Tractatus Logico Philosophicus di L. Wittgenstein

Mag 03

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Nei post precedenti abbiamo discusso le origini della filosofia analitica e della filosofia del linguaggio con Frege e la distinzione tra senso e significato, puntualizzando il rapporto di questi filosofi con la metafisica. In questo post continuiamo il discorso introducendo la figura di L. Wittgenstein, il cui pensiero comunemente si distingue tra una prima fase, in cui spicca l’opera “Tractatus logico-philosophicus” e una seconda fase  contraddistinta da opere come le “Ricerche filosofiche“.

Genesi e Struttura del Tractatus Logico-Philosophicus

Il Tractatus venne pubblicato nel 1921 grazie all’interessamento di Russell, di cui Wittgenstein fu allievo e collega, e subito destò interesse negli ambienti filosofici dell’epoca come quello del Circolo di Vienna. Analogamente a Frege, l’interesse di Wittgenstein era teso ai fondamenti della matematica e alla logica. Nato lungo un lavoro di 7 anni, svolto anche durante l’arruolamento come volontario nell’esercito austriaco, il Tractatus è un insieme di 7 proposizioni, numerate appunto da 1 a 7. A ogni proposizione, eccetto la 7, seguono altre proposizioni numerate con dei decimali, che definiscono l’ordine e l’importanza delle proposizioni stesse. L’opera ha quindi una struttura gerarchica, composta da 7 sezioni (termine più appropriato per lo studioso Frascol, dato che altrimenti risulterebbero dei  fraintendimenti come “la proposizione 4 si occupa della proposizione“), in cui i punti principali sono senza decimale e l’aggiunta di un decimale esprime un commento alla sezione immediatamente precedente, per esempio:

1.1 commenta 1, 1.1.1 e 1.1.2 commentano 1.1.

A parte qualche eccezione, maggiore è il numero dei decimali, minore è la centralità della proposizione. Ad esempio, la proposizione 1.1 sarà un commento alla proposizione 1, la 1.12 sarà a sua volta un commento alla 1.1 e così via.

Dire, mostrare, senso e non senso

Nel Tractatus Logico-Philosophicus, l’obiettivo di Wittgenstein è fissare il limite del pensabile, ovvero del sensatamente detto: ma questo obiettivo passa attraverso le condizioni di possibilità del dire, che, se trascese, conducono a un non senso. Il Tractatus distingue due modi di intendere il non senso (resi in Italiano con le espressioni “non senso” e “insensato”):

  1. un modo “buono” (sinnlos), che rispetta, a differenza della metafisica, la logica del linguaggio, forzandolo tuttavia al di là dei propri limiti nel tentativo di dirlo;
  2. un altro (unsinnig) che fraintende la logica del linguaggio, ponendosi i “pseudo problemi” che secondo Wittgenstein caratterizzano la metafisica.

Tuttavia, questa distinzione colpisce anche lo stesso Tractatus Logico Philosophicus, che propone una metafisica a sua volta insensata, condizione ben esplicata dall’immagine finale della scala, da cui si riesce a vedere come le cose stanno e che poi si butta via. Ma l’insensatezza delle proposizioni del Tractatus è diversa da quella della metafisica, perché è  il risultato cui si perviene forzando la logica del linguaggio, nel tentativo di dire ciò che non si può dire ma, per la natura stessa del simbolismo, si può solo mostrare. Ciò che va infatti al di là delle condizioni del dire, ovvero le stesse condizioni, non può essere detto, perché, per dirle, dovrei uscire dalle condizioni stesse del dire.

Quindi di ciò di cui non si può parlare si deve tacere (e si mostra): Wittgenstein stesso ammette la presenza di una parte scritta del Tractatus, e di una, più importante, non scritta, che è quello che la parte scritta cerca di dire arrivando tuttavia all’insensatezza. Tuttavia è stato necessario dirlo, per renderlo perscipuo. La proposizione dice qualcosa ma mostra qualcos’altro, ovvero le condizioni che rendono possibile il dire, che sono i limiti del mio mondo, come le cose stanno.


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