L’etica di John Rawls: analisi di “Una teoria della giustizia” (6)
L’etica di John Rawls: analisi di “Una teoria della giustizia” (6)
Nov 28
Articolo precedente: L’etica di John Rawls: analisi di «Una teoria della giustizia» (5)
3. Una teoria della giustizia, parte seconda: Istituzioni
3.1. Eguale libertà
Afferma Rawls:
Lo scopo dei tre capitoli della Parte seconda è illustrare il contenuto dei princìpi di giustizia. Ciò avverrà mediante la descrizione di una struttura fondamentale che soddisfa questi princìpi, e per mezzo dell’esame dei doveri e degli obblighi cui essa dà luogo. [39]
La struttura di cui parla è quella di una democrazia costituzionale. Il filosofo introduce un’elaborazione della posizione originale che implichi diversi stati intermedi (questa sequenza a stadi è uno strumento per applicare i princìpi) tra la scelta dei princìpi di giustizia e il ritorno al loro posto nella società, tra cui la scelta di una costituzione, ad esempio. Poiché tuttavia è già avvenuto un accordo sulla concezione di giustizia appropriata, il velo risulta ora essere parzialmente sollevato [40]. Quello che i contraenti ora conoscono, oltre ai princìpi che hanno scelto essi stessi, sono le circostanze naturali, economiche e politiche nelle quali verranno a inscriversi, anche se ancora ignorano la propria posizione e le proprie concezioni di bene e male. Devono scegliere ora la costituzione più giusta ed efficace. In seguito, anche la giustizia delle leggi e delle politiche deve essere valutata in questa prospettiva. Il primo principio di eguale libertà, però, è e deve essere lo standard primario per una costituzione; il secondo, invece, è importante nello stadio legislativo; ultimo stadio, l’applicazione. In questo stadio non ci sono ragioni per alcun velo di ignoranza e
le leggi e le politiche sono giuste a condizione che cadano all’interno dell’ambito consentito, e che la legislatura le abbia effettivamente trasformate in legge, in modi autorizzati da una costituzione giusta. [41]
A questo punto, Rawls passa a parlare della libertà e assume che la libertà possa essere spiegata in relazione a: 1) gli agenti quali esseri liberi; 2) le restrizioni o limitazioni da cui sono liberi, 3) che cosa sono liberi di fare [42]. Innanzitutto si devono valutare nell’insieme le libertà fondamentali, e il valore di una di esse dipende dalla specificazione delle altre [43]. E per questo motivo l’assemblea costituente deve decidere
in che modo vanno specificate le varie libertà, così che esse generino il miglior sistema totale di eguale libertà. [44]
Tuttavia, ci devono essere delle restrizioni, secondo il modo in cui le varie libertà si influenzano reciprocamente. Come si conciliano dunque libertà e uguaglianza?
La libertà in quanto eguale libertà è la stessa per tutti; non si può dare nulla in cambio di una libertà minore di quella eguale. Ma il valore della libertà non è lo stesso per tutti. [45]
Per quanto riguarda in particolar modo la libertà di coscienza, i contraenti non sanno quali concezioni religiose e morali avranno; dovranno perciò garantire un principio che tuteli questo. Tale principio sembra essere il solo che i contraenti nella posizione originaria riconoscono. Non ci sono conflitti di interesse, non potrebbero esistere. Al contrario, le libertà fondate su princìpi teleologici sono insicure e possono venire disattese [46]. Lo stato non è e non deve essere onnicompetente, né occuparsi di dottrine filosofiche o religiose, bensì
disciplina la ricerca, da parte degli individui, dei loro interessi morali e spirituali, in accordo con i princìpi che essi stessi accetterebbero in una situazione iniziale di uguaglianza. […] dai princìpi di giustizia segue che il governo non ha né il diritto né il dovere di fare ciò che esso o una maggioranza (o chiunque) voglia fare in questioni di morale e di religione. [47]
Infatti, se si disattendono queste condizioni, la libertà di tutti i contraenti rischia di essere posta in pericolo. Dunque, la libertà morale e religiosa segue dal principio dell’uguale libertà, e non si fonda su dottrine metafisiche. Ogni limitazione della libertà, poi, è giustificata solo quando è necessaria per la libertà stessa, e solo quando è necessaria per prevenire una perdita di libertà ancora più grave [48]. Tuttavia, il principio dell’uguale libertà e la tolleranza che ne scaturisce, la giustizia come equità sinora esposta insomma, non richiedono che si accetti che altri distruggano le basi della propria esistenza senza fare alcunché, nel caso vi sia pericolo di danneggiare la libertà degli altri, anzi:
i cittadini devono fare di tutto per preservare la costituzione e tutte le sue uguali libertà, fino a quando la libertà stessa e la propria autonomia non siano in pericolo. [49]
Soltanto perciò nel caso in cui siano in pericolo la sicurezza dei cittadini e quella delle istituzioni di libertà, solo in questo caso è possibile, e anzi si deve, mettere un freno alla libertà di coloro che attentano a questi soggetti. I princìpi di giustizia, infatti, tutelano la tolleranza e
sono il nucleo della moralità politica. Essi non soltanto specificano i termini della cooperazione tra le persone, ma definiscono un patto di riconciliazione tra i diversi credo morali e religiosi e le forme di cultura a cui essi appartengono. [50]
A che cosa porta il principio di libertà? Necessariamente conduce con sé un altro principio, non meno importante del primo, e imprescindibile da esso, connaturato nello stesso spazio, ristretto nella stessa ampiezza di significato e pregnanza: il principio responsabilità. Il quale tuttavia può portare a compromessi per meglio salvaguardare i princìpi stessi.
Le circostanze sfortunate e i disegni ingiusti di alcuni richiedono una libertà molto minore di quella goduta in una società bene-ordinata. Ogni ingiustizia dell’ordinamento sociale è destinata ad avere il suo costo ed è impossibile che le sue conseguenze vengano completamente eliminate […] certe volte possiamo essere costretti a consentire certe violazioni delle sue massime se vogliamo attenuare la perdita di libertà derivante dai mali sociali che non è possibile eliminare, e mirare alla minore ingiustizia consentita dalle circostanze. [51]
Questo passo è, secondo me, emblematico poiché sembra echeggiare la regola del “male minore” di Machiavelli. Qui però il discorso viene ampliato maggiormente dal filosofo americano, e anzi viene accentuato l’aspetto negativo, la carica distruttiva che reca in sé ogni ingiustizia, anche la più piccola; per poterla bilanciare e cercare di attenuarla alcune volte è necessario consentire alcune violazioni dei princìpi finora espressi. Come lo stesso Aristotele diceva, talvolta è necessario trasgredire la lettera della legge (in questo caso la lettera dei princìpi di giustizia) per applicarla al meglio, nel maggior rispetto consentito del suo significato. Ma Rawls si spinge ancora più in là: una società bene-ordinata tende, a parer suo, a eliminare, o almeno a controllare, la tendenza degli uomini all’ingiustizia [52]. Da che cosa nasce dunque la forza di questa teoria, la forza della giustizia come equità?
Sembrerebbe […] che nasca da due cose: il requisito che tutte le ineguaglianze siano giustificate nei confronti dei meno avvantaggiati, e la priorità della libertà. [53]
Il principio di uguale libertà viene poi interpretato anche alla luce della nozione kantiana di “autonomia”. La vera forza dell’etica del filosofo di Könisberg non sta, secondo Rawls, nella generalità e universalità dei princìpi morali, ma nell’idea che essi siano l’oggetto di una scelta razionale, che siano pubblici e condivisi. Tutta la teoria della giustizia come equità è allora, in questo senso, declinabile come un tentativo di interpretazione della concezione kantiana, ancorché il filosofo statunitense vi aggiunge del suo. Perciò, i princìpi di giustizia sono anche imperativi categorici nel senso kantiano [54] e la stessa posizione originaria
può essere quindi vista come un’interpretazione procedurale della concezione kantiana dell’autonomia e dell’imperativo categorico. [55]
Sbaglia, però, chi ritiene che la teoria della giustizia come equità sia una teoria della giustizia di tipo quasi “divino”, troppo ideale, del tutto irrealizzabile e disconnessa dall’effettiva e reale mondanità umana. Essa infatti parte sì da assunti ideali, ma intende giungere a esiti condivisi e razionalmente accettabili che coinvolgano gli uomini solo in quanto uomini, ed essere perciò resa attuabile nella fattualità. Insomma, la teoria della giustizia come equità
è una teoria della giustizia umana. [56]
Per approfondire
Note
[39] Ivi, p. 171.
[40] Cfr. ivi, p. 172.
[41] Ivi, p. 176.
[42] Cfr. ibidem.
[43] Cfr. Rawls, cit., p. 177.
[44] Ibidem.
[45] Rawls, cit., p. 178.
[46] Cfr. ivi, p. 183.
[47] Ivi, p. 185.
[48] Cfr. ivi, p. 186.
[49] Ivi, p. 190.
[50] Ivi, p. 191.
[51] Ivi, p. 209.
[52] Cfr. ivi, pp. 210-211.
[53] Ivi, p. 215.
[54] Cfr. ivi, p. 217.
[55] Ivi, pp. 219-220.
[56] Ivi, p. 220.
Articolo successivo: L’etica di John Rawls: analisi di «Una teoria della giustizia» (7)