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L’etica di John Rawls: analisi di “Una teoria della giustizia” (11)

L’etica di John Rawls: analisi di “Una teoria della giustizia” (11)

Gen 08

 
Articolo precedente: L’etica di John Rawls: analisi di «Una teoria della giustizia» (10)

 

4.3. Il bene della giustizia

Avviandosi alla conclusione, a Rawls rimane ora da dimostrare che, alla luce di quanto detto finora, la giustizia come equità sia congruente alla bontà come razionalità, e cioè capire se il senso della giustizia possa essere congruente con un razionale piano di vita. Il problema della stabilità di una società giusta sta proprio qui: una società del tipo proposto da Rawls è realmente possibile e duratura?

Per poter aderire spontaneamente alle istituzioni giuste, ogni cittadino deve vedere che il proprio bene non è sacrificato in nome di valori che gli sono estranei. [106]

Per giungere a questo obiettivo, il filosofo ripesca la definizione di autonomia, di cui già aveva trattato, e afferma:

l’educazione morale è educazione all’autonomia. [107]

Nella teoria della giustizia come equità non è vero che il giudizio di coscienza di ognuno debba essere assolutamente rispettato, né è vero che gli individui siano completamente liberi di formare le proprie convinzioni morali. La posizione originaria stessa sfata questi “miti”. La coscienza di un individuo non va rispettata in modo letterale, ma va piuttosto rispettato lui in quanto persona. Insomma,

una società bene-ordinata afferma l’autonomia delle persone e incoraggia l’obiettività dei loro giudizi ponderati di giustizia. [108]

Una società bene-ordinata deve possedere uno “schema di condotta” [109] nel quale il bene di ciascuno sia complementare al bene di tutti, grazie a un tèlos condiviso. Per quanto riguarda quest’ultimo concetto, esso non va confuso con la felicità. Ci possiamo dire felici, per il filosofo americano, quando i nostri piani razionali procedono bene, ma di per sé la felicità è autosufficiente e viene scelta per se stessa [110]. Quella di Rawls non è una teoria teleologica, niente di più lontano. Da quanto detto infatti non deriva che nel realizzare un piano razionale si stia cercando la felicità, che in sé non è uno scopo, bensì

il soddisfacimento dell’intero piano in sé. [111]

La felicità può essere solo un fine inclusivo. Ogni genere di dottrina teleologica è invece naturalmente tendente a una qualche forma di edonismo e questo è dovuto a un malinteso strutturale: che cioè

sin dall’inizio esse mettono in relazione il bene e il giusto nel modo sbagliato. [112]

Non esiste infatti un tèlos unico e assoluto in relazione al quale sia possibile per l’uomo compiere ogni scelta in modo razionale. Basta anche riflettere sull’aggettivo “assoluto”, cioè “sciolto, slegato”. Come può qualcosa di slegato e sciolto da alcunché porsi “in relazione” con l’uomo? Come può l’uomo relazionarsi, ossia “legarsi” a qualcosa che di per sé non può legarsi a nulla? Ciò mi riporta alla mente le parole di Papa Francesco: «la verità è relazione». Come infatti potrebbe essere altrimenti?

Dunque, il problema ora cambia soggetto e prospettiva: se non esiste un fine unico, come determinare allora un piano di vita razionale? Secondo Rawls, una persona morale modella in modo graduale i suoi scopi in base alla propria concezione del bene e al suo senso di giustizia, in modo da dare forma al proprio io. Il suo io è il suo fine. Realizzare la sua unità in quanto individuo è il suo fine. Nella giustizia come equità, importanza fondamentale riveste dunque la personalità morale [113] e, data la preminenza del giusto,

la scelta della nostra concezione del bene prende forma entro limiti definiti [114],

i limiti della comunità. Data la priorità del giusto, poi, ci sono ancor meno problemi nella scelta del bene: si tratta di una scelta vincolata, infatti. Vincolata al giusto. I concetti di bene e giustizia sono legati, però, a princìpi differenti e distinti. Le basi della congruenza buono-giusto, allora, dove stanno? Cruciale diventa il contenuto dei princìpi di giustizia e cruciale diventa la conservazione del nostro senso di giustizia. Dal punto di vista dell’individuo, infine,

il desiderio di affermare la concezione pubblica della giustizia come normativa nei confronti del proprio piano di vita si accorda con i princìpi della scelta razionale. [115]

Concludendo, la teoria della giustizia è l’ambizioso tentativo rawlsiano, secondo me ben riuscito seppur nei suoi limiti, di esporre una teoria che mettesse al primo posto la giustizia e il giusto. Egli insomma ci ha dimostrato che è possibile concepire una società giusta, sfidando la natura umana, sfidando il pluralismo delle visioni del bene, e sfidando la stessa dicibilità della teoria [116]. Ci ha dimostrato inoltre che è possibile mettersi alla ricerca di princìpi di giustizia senza offrire una visione del mondo omnicomprensiva e senza offrire risposte preconfezionate sul senso ultimo dell’esistenza, quel tèlos di cui sopra [117]. La giustizia come equità ne è il risultato e, nonostante non possa dirsi soddisfacente completamente (ma cosa, alla fin fine, può dirsi tale?), costituisce un’alternativa originale a molte altre teorie dai presupposti meno condivisibili che, seppur utopica, vuole porre la prospettiva sub specie aeternitatis non fuori dal mondo, ma direttamente in esso, connaturato ad esso. Una prospettiva che

persone razionali possono adottare in questo mondo. [118]

 

Note

[106] Ottonelli, cit., p. 149.

[107] Rawls, cit., p. 421.

[108] Ivi, p. 424.

[109] Ivi, p. 429.

[110] Cfr. ivi, p. 447.

[111] Ivi, p. 448.

[112] Ivi, p. 455.

[113] Ivi, pp. 456-458.

[114] Ivi, p. 458.

[115] Ivi, p. 469.

[116] Ottonelli V., cit., p. 8.

[117] Ivi, p. 9.

[118] Rawls, cit., p. 477.

 

Bibliografia

  • Rawls John B., Una teoria della giustizia, a cura di Sebastiano Maffettone, Feltrinelli ed., Milano 1989. Tit. origin. A theory of Justice, Harvard University Press, Cambridge 1971;
  • Ottonelli Valeria, Leggere Rawls, Il Mulino ed., Bologna 2010.

 

Per approfondire


 

Articolo iniziale: L’etica di John Rawls: analisi di «Una teoria della giustizia» (1)
 


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