Filosofia della sessualità. Intervista a Vera Tripodi (1)
Filosofia della sessualità. Intervista a Vera Tripodi (1)
Feb 26
Oggi pubblichiamo un’intervista del nostro collaboratore Gioele Gambaro a Vera Tripodi, post-dottoranda all’Università di Torino e autrice del volume Filosofia della sessualità (Carocci 2011). Tra i suoi interessi di ricerca, la filosofia femminista, la metafisica e la filosofia del linguaggio. Ringraziamo Vera per essersi prestata all’intervista e Gioele per averla realizzata.
Il tema del ruolo della donna nella società è spesso presente sui media, anche generalisti. Poco affrontato è invece questo tema dal punto di vista filosofico. Cosa da un certo di vista curiosa, essendo esso un tema essenzialmente filosofico. Filosofia della sessualità lo analizza partendo sin da subito dalla problematizzazione del termine stesso, cioè dal chiedersi se esista una categoria “donna”, quantomeno opposta in maniera manichea a quella di “uomo”. Nell’opera si intrecciano dati biologici e genetici, episodi concreti ed analisi sociali. Siamo andati a fare una chiacchierata con l’autrice, per chiederle di parlarci di questo suo ultimo libro.
Nel tuo libro viene trattato un aspetto poco noto: non tutti gli individui sono categorizzabili come “maschio o femmina” : secondo alcune stime, circa l’1,7% della popolazione presenta tratti androgini, comuni ad entrambi i sessi, a livello di apparato riproduttivo, ormonale, etc. Porti anche alcuni esempi, molto interessanti, di donne squalificate da competizioni olimpiche per via della presenza di alcuni tratti generalmente catalogati come maschili. Cosa puoi dirci a riguardo? Davvero la distinzione tra maschio e femmina ha componenti convenzionali? Il fatto che, come riporti nel tuo libro, la riassegnazione del sesso nei bambini intersessuati avvenga non per motivi di salute può rendere la divisione tra maschio e femmina normativa più che descrittiva?
Se proviamo a cercare nella biologia la soluzione all’interrogativo “in che cosa consiste la differenza tra i due sessi?” potremmo rimanere sorpresi nel sentirci rispondere che la biologia non può fornire una risposta esaustiva in merito. La biologia non è infatti in grado di stabilire con esattezza che cosa esattamente rende una femmina diversa da un maschio. Attualmente, i fattori ritenuti rilevanti nella distinzione tra i due sessi sono i seguenti tre: i cromosomi (XX nelle femmine, XY nei maschi), le gonadi (ovaie nelle femmine, testicoli nei maschi), i genitali esterni (clitoride/labbra nelle donne e pene/scroto nei maschi) il cui sviluppo è controllato dagli ormoni che le gonadi secernono. Dal sesso cromosomico, gonadico e fenotipico si è soliti far dipendere quello di allevamento (nurture) e quello psichico (genere e ruolo sociale). Tuttavia, questa distinzione tra femmine e maschi è frutto di convenzioni e; in quanto tale, è rivedibile. Storicamente, infatti, i criteri per l’identificazione del sesso sono stati cambiati più volte. Alla metà del XIX secolo, per esempio, si pensava che le gonadi fossero l’elemento determinante per il sesso ‘vero’ della persona. Questa ipotesi venne poi scartata, nel XX secolo, con la scoperta del sesso cromosomico. Quello che la biologia oggi ci dice è che il sesso di un individuo non è riducibile a un solo aspetto e che la differenziazione sessuale è un processo complesso che si articola in fasi diverse (dalla fecondazione alla pubertà). Pertanto, al contrario di quanto comunemente si pensa, essere femmina o maschio non dipende semplicemente dall’aspetto dei genitali esterni o dal corredo cromosomico né c’è una stretta corrispondenza tra il sesso genitale e quello cromosomico. Ci sono, per esempio, individui che – pur essendo geneticamente maschi – hanno genitali esterni femminili.
Ma c’è di più. Secondo alcune recenti ricerche in biologia, le categorie “maschio” e “femmina” non sono più sufficienti quando si tratta di classificare i diversi modi in cui gli esseri umani possono sessualmente essere. A ben guardare, una dicotomia così netta tra maschi e femmine non esiste neppure tra gli altri animali. Nel mondo animale, alcuni individui cambiano sesso durante il corso della loro esistenza. I sessi in natura sarebbero dunque più di due. La percentuale delle persone nate con un sesso non classificabile come femmina o maschio è statisticamente rilevante. Come sottolinei tu, si tratta di circa l’1,7% della popolazione mondiale. A differenza di quanto per lungo tempo si è pensato, si tratta di individui dotati di un sesso diverso e non di anomalie sessuali. Sebbene non ci sia ancora un accordo tra gli esperti su quali (e quante) queste altre forme di sesso esattamente siano, la biologa Anne Fausto Sterling ne ha introdotto per il momento cinque [Fausto-Sterling, 1993]. Ma potrebbero essere anche di più.
La questione del riconoscimento delle altre forme sessuali é rilevante non solo da un punto di vista biologico, perché mostra che la natura ci offre più di due possibilità rispetto al sesso, ma è cruciale anche per altre ragioni. L’idea che i sessi in natura siano solo due e che si può nascere o maschio o femmina è fortemente radicata nella nostra cultura (ordinaria e scientifica). Così, quando un caso di intersessualità si presenta alla nascita, il sesso viene assegnato chirurgicamente sottoponendo il neonato a interventi per “normalizzare” i genitali e a trattamenti ormonali. Secondo il protocollo sanitario attuale, i genitali devono essere omologati a quelli maschili o femminili. In questo senso, sì, la divisione femmina/maschio che di norma adottiamo non è descrittiva. Siccome una forma di sesso diversa da quella maschile o femminile non è ammessa ed è da considerarsi come un’anomalia da “curare”, l’intersessualità è stata così “nascosta” nel corso degli anni attraverso chirurgia e trattamenti ormonali. C’è poi da considerare che in alcuni casi l’intersessualità può manifestarsi solo durante la pubertà, in altri casi è una condizione che non viene neppure riconosciuta quando si è in vita dato che è riscontrabile solo se e quando ci si sottopone ad alcuni esami medici. In alcuni paesi occidentali, si é cominciato così a discutere la necessità di ridefinire il protocollo sanitario in vigore che considera la dicotomia femmina/maschio come l’unica naturalmente possibile e di ammettere altre categorie sessuali. Difatti, alcuni biologi sono già al lavoro per redigere una nuova nomenclatura dei sessi.
La chirurgia sui genitali (specie quella in età pediatrica) pone inoltre – come dicevo – complesse questioni di carattere bioetico o giuridico: i soggetti che si sottopongono a interventi chirurgici spesso perdono la possibilità di provare piacere sessuale quando adulti; in molti casi chi si sottopone a un rimodellamento dei genitali esterni subisce vere e proprie mutilazioni genitali; gli intersessuali in molti paesi non sono riconosciuti come soggetti giuridici, in altri chi scopre la propria intersessualità da adulto e vuole cambiare le proprie generalità sui documenti di riconoscimento è costretto/a a sottoporsi a una ri-attribuzione chirurgica dei genitali. Tutto questo in nome di una supposta normalità sessuale che in natura molto spesso neppure si dà!
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essere femmina o maschio biologicamente dipende da cromosomi e genitali, i maschi hanno il pene e le femmine hanno la vulva nella maggior parte dei casi, e hannonun seno più sviluppato di quello maschile, e l’umanità è composta per la maggior parte da maschi e femmine, uomini e donne cisgender, questa è la realtà e resterà tale. Poi è giusto lottare per i diritti delle minoranze intersex e transgender