Alla ricerca di un’etica salda. Recensione di “Valori morali” di Fabio Bortolotti
Alla ricerca di un’etica salda. Recensione di “Valori morali” di Fabio Bortolotti
Gen 11Fabio Bortolotti, “Valori morali”, Tangram Edizioni Scientifiche, Trento, 2015.
Autore di numerosi saggi giuridici e membro attivo della propria comunità, Fabio Bortolotti tratteggia in questo ultimo lavoro i principi che attraversano e hanno attraversato l’intera sua produzione, spinto da una impellente necessità di chiarezza etica, sia personale che sociale.
Valori morali vuole indicare la fondamentale distinzione tra un agire dettato da regole trascendentali e uno costruito su di una mentalità edonistica, materialistica o utilitaristica. La questione, è evidente, non è delle più semplici ma ineludibile perché, come dice Marco Aurelio, “colui che non avverte i moti della propria anima è inevitabile che sia infelice”. Bortolotti pone una domanda necessaria: come può esistere una morale oggettiva e salvifica se il mondo proclama ogni cosa essere transeunte, soggettiva e passeggera? Se è quindi Dio la base di tale trascendenza, quale futuro può esserci in un pianeta che lo nega ogni giorno?
Non si tratta, si badi bene, di una banale professione di fede, bensì di una sentita e sofferta richiesta di verità – perché solo illuminati si può indicare la retta via. Citando Sarkozy, l’ex presidente della repubblica francese, il quale disse che non vi può essere sviluppo autentico dell’uomo senza una concezione morale trascendentale, l’autore attraversa la storia filosofica e giuridica dai romani ai giorni nostri, per arrivare alla stringente conclusione che quasi ogni atto fiorito in un’etica materiale ha una radice malata, e produce frutti malsani.
L’incontro – o meglio: lo scontro con la cultura laica, o come dice l’autore “laicista” – non è dei più felici, visto il netto rifiuto di concedere alcun credito alla suddetta, e sebbene l’argomentazione sia a tratti intransigente, nondimeno la questione posta resta viva. Bortolotti afferma che l’etica laica è infondata, e solo nella solidità della Chiesa la coscienza non sbanda e si perde. Il risultato è vedere persone egoiste, crudeli, devote al denaro, arriviste – e non uomini illuminati e rivolti al bene pubblico.
Nonostante queste osservazioni possano essere attribuite proprio ai credenti che nel corso della storia hanno saccheggiato e devastato il mondo, e sebbene l’autore ceda a volte a una descrizione edulcorata del cristianesimo, il nucleo della domanda filosofica resta intatto: quale etica è possibile, se tutto scorre in un fluire di opinioni qualsiasi? Nella sincera ricerca di un senso si evince la buona fede dello scrittore, rivolto anche a personalità religiose estranee alla tradizione cattolica, come Gandhi, ma ancorate all’idea che solo Dio possa consegnare all’uomo un fiaccola per illuminare il presente e le sue azioni. Filosofia e trascendenza dunque, ma anche, per citare S. Quinzio, interrogazione sul “Silenzio di dio” sono impliciti in una scrittura che è fondamentalmente un domandare e un pretendere lealtà da quei “signori della politica” – espressione frequente e a volte ridondante – che abusano dei valori morali in convegni e discorsi ufficiali, ma in realtà li negano pensando solo ai loro interessi. La proposta di Bortolotti può sembrare desueta, o conservatrice, ma certamente la sua ricerca è sincera e dettata da un desiderio vero di fondare un’etica universale. Meno interessante quando un po’ semplicisticamente accoglie le istanze ecclesiastiche più reazionarie come baluardo per una moralità trascendente, il suo lavoro resta comunque un percorso inevitabile, perché solo l’etica rende l’uomo libero, e solo nella libertà può fondarsi una redenzione, terrestre o celeste che sia.