Epicarmo II. Vita e opere
Epicarmo II. Vita e opere
Gen 26[ad#Ret Big]
Nato a Crasto o a Megara Iblea, Epicarmo visse in Sicilia – ah, ecco dove son ‘sti posti – a cavallo tra i secoli VI e V (530-435 a.C. circa). In vecchiaia, sceso da cavallo, soggiornò a Siracusa presso la corte del tiranno mecenate Ierone (478-466 a.C.), dove conobbe forse Pindaro, Simonide, Bacchilide, ultimi grandi esponenti della poesia lirica corale arcaica, ed Eschilo, primo dei tre massimi tragediografi ateniesi.
Come attesta nella Poetica Aristotele (maestro di color che sanno ridere sano in riferimento paronimico alla salute), la produzione dei siciliani, di Epicarmo e di Formide, fu decisiva per il passaggio della commedia dal folklore all’arte (si ride meno ma meglio): nelle sue circa quaranta commedie, dette genericamente dramata (atti), Epicarmo introdusse un terzo attore e sviluppò una trama articolata ben oltre lo sketch (sono comunque lunghe solo 1/3 o persino 1/4 di quelle di Aristofane). Come in Sicilia era uso, non era uso usare il coro e rappresentava sia personaggi epici sia tipi stereotipati della vita quotidiana. Tra questi la vecchia, l’agricolo, il cortigiano, le sarte, il cuoco, lo spaccone, l’ubriacone, la prostituta straniera, il maestro, il mercenario. Parla ora il parassita:
Da chi mi vuole a cena vado, basta
che m’inviti, ed invece
chi non mi vuol non serve che m’inviti.
E là son spiritoso e faccio rider
molto e lodo chi paga;
e contro chi lo contraddice in qualche
cosa, m’indigno e faccio brutti tiri.
Poi, molto rimpinzato e molto ciucco,
me ne vado, ma son senza schiavetto
che con un lume mi conduca.
Scivolo e mi cappotto poi nel buio
da solo; e se m’imbatto nella ronda,
agli dei rendo grazie
se gli occhi solo mi faranno pesti.
Quando arrivo malconcio a casa, un letto
non trovo, ma, annebbiato
nella mente, non me ne frega niente!
Il riso era, al pari di oggi, direttamente proporzionale all’inaspettato (aprosdoketon) calato in situazioni note con lo scopo di rovesciarle o esagerarle coerentemente. L’esagerazione comica mette in crisi il principio ellenico del giusto mezzo, ma al tempo stesso lo ribadisce perché la trasgressione avviene in contesti ridicoli e fa percepire per contrasto la serietà della temperanza.
Epicarmo parodiava in particolare gli eroi accentuandone caratteristiche scivolose con esiti peggiorativi per la loro dignità. Per esempio l’esuberante Eracle (Eracle alla conquista del cinto d’Ippolita, Eracle presso Folo, Busiride) passa per maniaco sessuale a letto (quando va bene) e ingordo a tavola:
Sol nel vederlo quando sta mangiando
ti viene un colpo dalla paura:
rimbomba il gozzo, grida la mascella,
il molare risuona,
stride il canino,
dalle narici sfiata
ed agita le orecchie!
Il versatile Odisseo invece è ritratto come un bugiardo imbroglione vigliacco millantatore (Odisseo disertore, Sirene), il che non è poi tanto inatteso se è vero che già Omero lascia trapelare tale accusa, su cui tutta la grecità ha poi ricamato. Vinci Felice, autore del rivoluzionario Omero nel Baltico, arriva addirittura a dire che l’Odissea fu commissionata da Telemaco a un aedo di corte (un giornalista degli house organ) per riabilitare il padre attribuendogli imprese straordinarie di eroi più antichi, non smentibili in quanto collocate a bella posta ai limiti tra il temperato/nte mondo di mezzo e l’agghiacci/eccitante ignoto (tipo Matriks).