Temi e protagonisti della filosofia

Epicarmo III. Filosofia: pars destruens

Epicarmo III. Filosofia: pars destruens

Feb 06

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Epicarmo non prende di mira solo gli eroi o l’uomo della strada, ma ne ha anche per voi filosofi (io modestamente non mi ritengo tale, specie quando arrivano critiche in genere, specie quelle di Epicarmo), parodiandovi. Egli – no, troppo alto: lui infatti sgonfia la carica destabilizzante per il senso comune delle soluzioni e delle argomentazioni di Eraclito, di Senofane e degli eleati estrapolandole dalla tecnicità del discorso filosofico e ricontestualizzandole nella banalità di quello quotidiano per renderle ridicole agli occhi del pubblico, così da suscitare il riso, che – e qui inaspettatamente ritorno sull’argomento – da sempre nasce dall’innalzamento di ciò che è basso e dall’abbassamento di ciò che sta, o pretende di stare, in alto.

Siccome non ho voglia di scolarmi altri libri sul riso perché è pronto in tavola (mi è venuta una fame erculea), rimando, così faccio anche il fico, ad autori più seri di me come:

  • i classici serici (“se non si potesse anche ridere del dao, esso non meriterebbe la nostra considerazione”; blasfemo? no: dallo spiritoso allo spirituale);
  • tutto M. Bachtin, ma soprattutto Dostoevskij. Poetica e stilistica; Estetica e romanzo; L’opera di Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale e festa nella cultura popolare e rinascimentale;
  • H. Bergson, Il riso. Saggio sul significato del comico;
  • U. Eco, Il nome ecc. e quindi:
  • l’eventuale secondo libro della Poetica di Aristotele.

Nel riso la tensione si scioglie e si può tornare rasserenati ai propri affari lasciando perdere le paturnie problematiche trasmesse da ultimo ma non per ultimi anche da quei masnadieri untori di filosofiablog. La stessa tecnica sarebbe stata usata da Aristofane contro Socrate e i sofisti. Ecco per esempio una falsa antitesi:

Ero talvolta io a casa loro, talvolta io da loro.

In un dramma, un debitore non vuole pagare sostenendo, con Eraclito, di non essere più colui che aveva ricevuto la somma, così come anche il creditore è mutato:

‒ Se qualcuno ad un numero
dispari, ma se vuoi ad uno pari,
vuol sommare un sassetto
o prenderne di quelli che ci sono,
ti par che resterebbe ancor lo stesso?
‒ Certo che no, secondo me. ‒ No proprio,
e neppur se volesse alla misura
d’un cubito sommare una seconda
lunghezza oppure da quella che c’era
prima tagliarla, esisterebbe ancora
quella misura? ‒ Certo che no. ‒ Adesso
guarda così pur gl’uomini: difatti
l’un cresce, l’altro invece va in declino
e s’alterano tutti tutto il tempo.
Ma ciò che per natura s’altera e mai
rimane nello stesso stato ormai
sarà diverso da quel ch’è mutato,
e pure tu ed anch’io, ieri altri, altri
risultiam oggi, ed altri nuovamente,
giammai stessi, secondo tal discorso.

E poi dicono che la filosofia non serve! Molta sofistica svilupperà quest’argomento trattenendo il riso e l’onorario. Ma attenzione: il creditore, portato in giardino il debitore fluente, lo bastona di gusto e alle rimostranze risponde di non essere più il violento. Chi di Eraclito ferisce, dell’argumentum ad baculum perisce.


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1 comment

  1. Giulio Giacometti

    Siccome non è stato possibile contattarla via mail, rispondiamo qui a un dubbio della signoria Aurelia Belizia. Ella si chiede come possa Epicuro aver scritto una lettera ad Erodoto se quest’ultimo era già morto da oltre un secolo. In effetti, l’Erodoto cui Epicuro si rivolge è solo un omonimo del famoso storico del V secolo: non sono la stessa persona.

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